I quattro tempi della rivoluzione angioiana.





I quattro tempi della rivoluzione angioiana.

Sintesi a cura di Michela Delussu e Sabrina Podda del saggio di
Luciano Marroccu (su "Bicentenario moti antifeudali 1796-96 – Comune di Bono")
esposta in classe sabato 21/02/2009.


Da una lunga produzione storiografica ricca di numerosi titoli sono emerse due diverse letture della rivoluzione angioiana:

-nella prima possiamo vedere una serie di racconti, personaggi ed esempi che ci rendono orgogliosi di essere sardi.

-la seconda lettura sottolinea solo l' aspetto della modernizzazione. Tra il 1793 e il 1796, la Sardegna si inserì nel mondo moderno mettendosi al passo con le grandi correnti della storia. Possiamo quindi considerare la rivoluzione angioiana il riflesso della Rivoluzione francese.

L' aspetto nazionale e quello della modernizzazione si intrecciano. Molto importante è un aspetto degli avvenimenti del 1793-96 che non appare certo rivoluzionario. Nei primi mesi del 1793 la flotta francese si aggira nel golfo di Cagliari, inviata dal Consiglio esecutivo provvisorio ( l' organo di governo costituitosi dopo la caduta della monarchia). Siamo al principio del culmine del potere giacobino: i francesi sono in guerra contro il Piemonte sabaudo e decidono secondo una precisa strategia militare di attaccare la Sardegna. I francesi vogliono sia conquistare la Sardegna sia liberare i sardi dal potere feudale e aristocratico. A questo punto è naturale che la prima difesa avvenga da parte dei nobili e del clero che spingeranno il popolo a mobilitarsi contro l' armata francese. Le truppe miliziane vengono mobilitate per difendere il trono e l' altare. In questo caso la difesa della patria si identifica con la difesa della tradizione. Vediamo che i nobili e i vescovi che volevano semplicemente la difesa dell' ordine costituito avranno in seguito la rivoluzione. La mobilitazione delle truppe miliziane non segue le linee formali di un organizzazione precostituita. I nobili reclutano i miliziani nei villaggi dove hanno una certa influenza impegnando le proprie risorse finanziarie o quelle del clero. Dobbiamo evidenziare che non vi era un vero e proprio esercito ma un insieme di bande armate, ognuna con il proprio comandante. Le truppe del viceré sono invece formate da soldati di mestiere. Nasce il sospetto che la scarsa decisione con cui il viceré Balbiano affrontò la flotta francese fosse frutto di un calcolo politico e che da Torino si prospettasse la possibilità della cessione della Sardegna alla Francia ai fini della salvezza del regno.

La guerra rivela la scarsa presa che l' amministrazione sabauda ha sulla società sarda. L' invasione francese ha dunque portato alla luce le difficoltà. Ma allo stesso tempo attiva processi prima imprevedibili. Con la minaccia dell' attacco francese vengono ora riuniti gli Stamenti ( gli antichi parlamenti) uno per ognuno dei tre ordini del Regno:
- lo stamento militare dei nobili.
- lo stamento ecclesiastico del clero.
- lo stamento reale in rappresentanza delle città.
La riunione di questi ha come oggetto di discussione la restaurazione dell' antica costituzione del regno: il Regnum Sardiniae.
Ora lo scenario è rivolto verso gli stamenti. La rivoluzione sarda è una rivoluzione di avvocati e intellettuali. Avvocati come Pitzolo, Cabras e Pintor e intellettuali che hanno la capacità di inserire gli avvenimenti in un quadro temporale e spaziale più ampio. Conoscono sia le antiche leggi del Regno sia le vicende di altre rivoluzioni da cui traggono insegnamenti ed esempi. In un secondo tempo vediamo la formulazione delle "Cinque Domande" da parte dei delegati stamentari, che cercano di consegnarle direttamente al re. Al centro di queste domande c'è la richiesta di riservare gli impieghi militari, ecclesiastici e civili ai sardi, ma soprattutto quella di una regolare convocazione e istituzionalizzazione degli stamenti. Si rivendicano i diritti sostenendo che essi fanno parte di una costituzione sarda. Come conseguenza della mancata accettazione da parte del re delle Cinque Domande, vi è la cacciata il 28 aprile 1794, del viceré e dei piemontesi prima da Cagliari e poi dal resto dell' isola.

Il terzo momento della rivoluzione è caratterizzato dalle prime divisioni all' interno dello schieramento sardo. Queste divisioni sono due: la prima è all'interno dello schieramento stamentario. Ci sono quelli che vogliono tornare all' ordine tra i quali Pitzolo e il marchese della Planargia; e quelli che invece vogliono continuare, che accettano l' idea di sostituire Balbiano, ma ripropongono gli obiettivi delle Cinque Domande. Questo periodo è caratterizzato da numerosi complotti e assassinii tra cui quello di Pitzolo e Planargia. Ci sono poi i sassaresi che vedono nell'emergere del potere stamentario l'ennesimo tentativo da parte dei cagliaritani di affermare il primato della capitale; inoltre non erano d'accordo sulle riforme antifeudali proposte dagli stamenti. Il 10 agosto 1795 vi è il bando viceregio in cui si invitano le ville infeudate ad esporre il proprio dissenso promettendo che diritti e prestazioni feudali sarebbero stati considerati e quelli ritenuti abusivi soppressi.

Vi è una divergenza tra feudatari del sud e del nord, e da questi contrasti nasce il quarto periodo della rivoluzione caratterizzato dalla guerra civile. La situazione cambia col bando viceregio a cui i sassaresi decidono di non dare nessun tipo di pubblicità e con questo la loro può essere considerata una vera e propria rivolta. Inizia così un via vai di armati che percorrono tutta l'isola. Francesco Cilloco è il primo ad essere incaricato dagli stamenti a diffondere il bando viceregio nelle ville del Logudoro. Questo è il tempo della rivolta contadina, infatti nei villaggi del Capo di Sopra l'effervescenza antifeudale si trasforma in una rivolta, ancora legalitaria, in nome del viceré e quindi del re. Il 28 dicembre 1795 finita la marcia Cilloco entra a Sassari, mentre i baroni fuggono e i rappresentanti dell'autorità stamentaria si insediano al potere. Pochi mesi dopo avviene un'altra marcia, quella di Giovanni Maria Angioy. Egli è il giudice più autorevole della Reale Udienza che riesce a fondere metodi legalitari e metodi rivoluzionari. Giommaria Angioy è l'uomo principale della rivoluzione stamentaria ma è anche parte della rivoluzione contadina. Nel febbraio 1796 Angioy fa una spedizione a Sassari durante la quale si ferma nei villaggi. Egli è l'alternos ossia è investito dei poteri del vicerè e di conseguenza di quelli del re, inoltre è un giudice e come tale si comporta in ogni villaggio amministrando la legge e risolvendo contese locali. La sua piena affermazione come leader politico avviene per il tramite di un rapporto diretto; d'altra parte la sua forza si basa anche sui molti rapporti di patronage che è riuscito a stabilire in molti villaggi. Quando entra Sassari Giommaria Angioy non è soltanto un uomo di legge ma è anche il capo contadino. Fra maggio e giugno inizia la sua marcia su Cagliari, con la quale vuole ribadire il suo ruolo di leader del movimento stamentario. Procedendo verso sud acquista sempre più consensi senza però sapere a quanto ammonta lo schieramento antiangioiano. Contro di lui si sono rivoltati Efisio Pintor e gli stamenti: i protagonisti della rivoluzione antipiemontese del 28 aprile che rappresentano i moderati di oggi e vogliono il ritorno all'ordine. Per fare questo sono disposti a sacrificare ogni cosa. Un elemento che colpisce alla fine della rivoluzione sarda è la rinuncia a se stesse delle élites dirigenti isolane, quelle che prima avevano dato vita al movimento delle Cinque Domande. Un fatto particolare è che proprio mentre Angioy viene sconfitto e prende la via dell'esilio da Torino arriva la notizia che il re ha accettato le Cinque Domande. Purtroppo però non c'è più l'autonomia, infatti pochi anni dopo gli stamenti rinunciano alle richieste delle Cinque Domande. Questa triste fine della rivoluzione sarda ci fa riflettere su quanto le élites dirigenti isolane fossero deboli.

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