Lezione del Professor Carta - 28 Febbraio 2009



Lezione del Professor Luciano Carta, tenutasi il 28 Febbrario 2009 intorno agli avvenimenti che caratterizzarono il periodo definito poi come Triennio Rivoluzionario Sardo.
Trascrizione di Claudia Aresu e Giulia Meloni.


Come noi sappiamo, la storia regionale non è una storia “minore” ma è certamente storia a tutti gli effetti ed è molto importante inquadrarla nella storia europea. E’ difficile pensare che ci siano persone le cui radici non affondano nel valori del ‘700, ed è proprio in questo periodo che ha luogo la rivoluzione sarda, un importante triennio rivoluzionario. Nel ‘700 si diffonde un movimento che permea anche i sovrani: il riformismo illuminato, si rendono cioè conto che la società ha bisogno di riformarsi, modernizzarsi, un esempio di sovrano illuminato può essere Carlo Amedeo III che attraverso il ministro Bogino riformò le università in Sardegna. Però questo processo di riforma avviene anche attraverso l’inserimento di forze nuove nell’ambito dell’insegnamento universitario sardo: i professori quotati che vengono dal continente e hanno tutti una mentalità di carattere illuministico; ne cito qualcuno: per esempio Gianbattista Vasco, era un frate domenicano che insegnò a Cagliari dal 1764 al 1767 e che utilizzava nelle lezioni che teneva all’università (lui insegnava teologia dogmatica) per le sue spiegazioni, gli articoli della famosa Enciclopedie di Diderot e Dalembert (molto importante perché è l’opera attraverso cui si diffonde la cultura e la mentalità illuministica in tutta Europa, una mentalità di carattere sperimentale, una mentalità che butta a mare la filosofia aristotelica, è una mentalità galileiana, una mentalità da espirit sistematique che vale a dire la mentalità del metodo sperimentale). Non solo, ma quando lui rientra in Piemonte, pubblica un’importantissima opera (era un importante illuminista piemontese) di carattere fisiocratico. La fisiocrazia è la corrente economica,politica più importante del ‘700 perché ritiene che a fondamento della ricchezza delle nazioni stia la terra, però la terra deve essere sfruttata attraverso il libero commercio dei suoi prodotti, soprattutto il libero commercio dei grani: dice “bene, anche nell’ambito dell’agricoltura l’economia deve essere modificata perché bisogna creare la proprietà perfetta come si è fatto in Inghilterra, perché quando io ho la proprietà perfetta e non l’uso comune della terra come accade nel feudalesimo io posso produrre per il mercato, e quindi capitalizzare”. Poi viene in Sardegna un altro gesuita che si chiama Francesco Gemelli (Via Gemelli si trova Sotto Monte Urpinu), uno degli intellettuali con cultura illuministiche della Sardegna che vive in questo periodo: insegna all’università di Sassari e viene mandato all’epoca di Carlo Emanuele III dal Bogino a Sassari. Era un professore di retorica (oggi lo chiameremmo un insegnante di lettere del ginnasio superiore) e a un certo punto gli viene richiesto di scrivere un’opera sulla condizione del costume, dell’assetto produttivo, dei prodotti della Sardegna. La scrive su richiesta del Bogino alla fine degli anni ’60, concluderà l’opera però quando il Bogino sarà stato messo da parte dal nuovo sovrano Vittorio Amedeo III perché il padre Carlo Emanuele muore nel ’73. Pubblica quest’opera nel ’76 e la intitola “ il Rifiorimento della Sardegna ottenuto il rifiorimento della sua agricoltura”. Ma come si ottiene il RIFIORIMENTO? Se vi capita di leggere l’opera (che è stata ristampata circa 40 anni fa da un grande storico, Luigi Bulferetti, che ha anche insegnato all’Università di Cagliari) vi accorgerete che quest’uomo conosce bene i sistemi di conduzione agraria inglese e dice “signori se noi vogliamo che l’economia sarda riprenda vigore, rifiorisca appunto, occorre che si superi il sistema dell’uso comune delle terre che è tipico della società feudale”. Ma come era possibile fare ciò? Attraverso l’uso della proprietà perfetta, cioè la terra deve diventare proprietà privata e ciascuno all’interno del suo campo delle sue tanche appunto andrà a produrre e siccome in genere si produce per capitalizzare, per guadagnare, per lucrare, allora si produce per il mercato, non più per la sussistenza. Cosa dice però? E’ capitale in quest’opera il concetto che (e lui conosce questa letteratura inglese), ciò che è stato fatto in Inghilterra dopo Enrico VIII (ricordate la riforma inglese: siamo nella prima metà del ‘500, quel sovrano che poi fa lo scisma, che crea la chiesa d’Inghilterra di cui l’attuale regina è ancora capo) tutti i beni ecclesiastici sono stati privatizzati allora in Inghilterra ed è stata creata la proprietà perfetta, si crea la cosiddetta Gentry, cioè la piccola nobiltà di campagna, che sarà poi a sua volta l’artefice della Rivoluzione di Cromwell. Quindi riassumendo lui dice: si è creata la borghesia agraria attraverso la costituzione della proprietà perfetta, cioè attraverso quel processo che in Inghilterra si chiama il passaggio dai campi aperti ai campi chiusi, dagli Open Fields alle Enclosures ( tanche, in sardo). C’è poi un altro gesuita che si chiama Francesco Cetti, questo è un naturalista, un professore di matematica che però si occupa di scienze naturali: egli scrive una bellissima opera che si intitola “La storia naturale di Sardegna”, fa un censimento cioè di tutti gli animali di tutti i prodotti della Sardegna. Attenzione ma perché hanno avviato questo processo di conoscenza della terra sarda? L’hanno avviato semplicemente perché secondo la mentalità illuministica la letteratura e anche lo studio quindi deve servire per creare la felicità delle nazioni (ricordate Adam Smith ce lo dice nell’opera “La ricchezza delle nazioni”, un’opera del 700 fondamentale nelle sviluppo del capitalismo moderno)e quindi queste ricerche vengono attuate perchè poi possano essere utilizzate……
Il fine per cui vengono scritte queste opere è che la conoscenza deve servire in senso direi quasi bacconiano (da Francis Bacon, il filosofo inglese), perché il “sapere è potere” cioè a dire tutto ciò che io so mi deve servire per essere miglior padrone della natura, possa sfruttare al meglio la natura. Quindi questo è il fine per cui vengono compiuti questi studi, e ne esistono diversi: quello che aveva fatto il prof Martinez con l’altra classe, e cioè di leggere appunto perfino la relazione ufficiale del viceré Des Hayes che è del 1770 quindi in questo pieno periodo di riformismo illuminato, anch’esso serviva per avviare le riforme. Riassumendo vediamo quindi l’opera di tre importanti personaggi: Francesco Cetti, Francesco Gemelli e Gianbattista Vasco (il più importante illuminista piemontese, così come in Lombardia il più grande illuminista fu il Beccaria, i fratelli Verri, così come Galiani lo fu nel Regno di Napoli ecc ecc). Un’altra riforma importante fu la costituzione dei consigli comunali, che allora si chiamavano consigli comunitativi: siamo nel 1761. Perché è importante la riforma dei consigli comunitativi? Vedete sino a quel momento chi governava soprattutto nei paesi dell’interno erano i feudatari che nominavano i funzionari dell’amministrazione, quindi erano sempre funzionali alla grande feudalità. I consigli comunitativi vengono invece affidati a quella che è una classe che si contrappone ai grandi feudatari: ai duchi, conti, visconti, la grande feudalità, coloro che avevano la titolarità del feudo (inteso come l’insieme di ville-si chiamavano così i paesi- che sono infeudate a un feudatario) cosa fa il feudatario nel suo feudo? È quasi un sovrano: amministra la giustizia, esige le tasse, fa i capitoli di grazia, che sono le leggi di ogni singolo contesto territoriale. Il sovrano che cosa fa per depotenziare diciamo questa classe sociale che sono i feudatari? Contrappone loro la piccola borghesia agraria: i nobili di paese che non sono né principi né duchi né conti né visconti, sono i DON dei nostri paesi, la piccola nobiltà che possiamo paragonare alla gentry inglese che sono i ricchi pastori, i ricchi agricoltori, e che poi siccome allora si saliva nella scala sociale comprando un titolo nobiliare, il titolo di cavaliere, di don ecc allora quando uno aveva accumulato un discreto capitale chiedeva al sovrano di avere un titolo: questi gli dava il titolo di cavaliere. Per far questo il sovrano introitava perché si pagavano questi titoli, tuttavia per la persona era uno status simbol, un salire nella scala sociale. Questa classe ovviamente si contrappone alla feudalità perché è quella che porta avanti il discorso soprattutto della privatizzazione delle terre, e quindi è una riforma molto importante che comincia a sottrarre al feudatario potere.
Poi abbiamo un’altra importante riforma che è quella dei monti frumentari e nummari (anche qui siamo a metà degli anni 70 del ‘700), i nummari derivano dalla parola latina nummus, moneta. I monti frumentari sono una specie di cassa di credito agrario del ‘700, un’istituzione attraverso la quale chi ha un’azienda zootecnica o pastorale ma soprattutto in questo caso agricola per esempio il piccolo contadino che era tanto vessato dalle tasse che non gli lasciavano neanche il tanto per poter seminare in autunno, andava in queste istituzioni in cui per un aggio molto basso ( un tasso di interesse molto basso alla restituzione) potevano imprestarsi il tanto di grano che gli serviva per seminare, e che al raccolto veniva restituito con l’aggiunta di un 3-5% in più. Anche oggi succede ciò con il credito agevolato per esempio quando un agricoltore deve impiantare una nuova azienda va in una banca accede al credito agevolato gli vengono dati i soldi che gli consentono di impiantare l’azienda con l’obbligo di restituire entro 30 anni la somma con in più un aggio del 5%. Quando non esistevano questi sistemi gli interessi erano di tipo iugulatorio, cioè erano tassi di interesse che talvolta arrivavano a raddoppiare il valore del prestito e in questo modo ovviamente il contadino non poteva andare avanti. Mentre nel monte frumentario si prestava in natura, invece in quello nummario si prestava in denaro che in genere era finalizzato all’acquisto degli strumenti della coltura,ad esempio i buoi da lavoro.
Quindi abbiamo ricordato tre riforme essenzialmente, giusto per ricordare che anche nell’isola noi abbiamo questo momento di riformismo illuminato.
Ma perché frequentare un’università rinnovata, una scuola superiore? Per acquisire una professionalità che consenta poi di essere spesa nel mondo del lavoro, nella società.
Nel momento in cui io attivo un processo di riforma, facendo riferimento ai giovani che si formano nelle università, una volta finiti gli studi desidera poter spendere la professionalità che ha acquisito. Ma cosa avveniva allora però? Uno che studiava giurisprudenza era una persona che possedeva le conoscenze adatte per poter entrare nell’amministrazione dello stato per esempio, fare il funzionario, l’insegnante, l’esattore delle cappelle pubbliche, proprio perché sono lavori che necessitano una professionalità, uno deve saperlo fare. Tutti i posti della burocrazia però erano occupati da piemontesi quindi i Savoia governavano in Sardegna con un sistema coloniale, cioè a dire noi abbiamo avviato l’università nuova e formato una classe di giovani però poi questi non trovano sbocco. Questa mancanza di sbocchi occupazionali per una classe dirigente nuova formatasi nelle università volute dal sovrano a un certo punto hanno l’esigenza di essere introdotte nell’ambito dell’ amministrazione della vita dello stato. Non accadeva ed è da qui che nasce uno dei punti delle famose 5 domande. Non si creano aspettative per cui poi non si risponde e questo sarà uno degli elementi scatenanti della rivoluzione sarda del ‘93-‘96.
Nel 1793-96 abbiamo quel periodo che noi chiamiamo la sarda rivoluzione (ricordiamoci che nell’89 era già partita la rivoluzione francese quindi anche alla Sardegna era arrivata una ventata di novità enorme). Nel 1793, nel mese di Gennaio, una grande flotta francese assedia Cagliari, dividendosi nel golfo degli Angeli (che è formato da 2 archi, di cui uno è la zona del mare di Cagliari a sua volta divisa dalla Sella del Diavolo e poi l’altra di tutto il Poetto dove c’è anche la zona di Quartu, il Poetto è diviso tra Cagliari e Quartu, questa flotta viene in Sardegna con l’intenzione di tentare a invaderla, di insediare la Sardegna nell’Europa. Ma come mai proprio la Sardegna? Cos’è accaduto? Allora nell’89 parte la Rivoluzione Francese che vede una prima fase monarchico-costituzionale cioè in cui il sovrano giura una Costituzione che deve rispettare. Se non che Luigi XVI non rispetta questo patto fatto con l’Assemblea Nazionale Francese e viene imprigionato dopo aver tentato di fuggire dalla Francia (conosciuta come “la fuga di Varennes”) e viene dichiarato decaduto e il regime che si instaura è un regime di tipo repubblicano (20 settembre del 1792). La Francia diventa quindi la Republique Francaise. Questa repubblica siccome ha imparato bene che la migliore difesa è l’attacco attraverso un esercito di tipo nuovo, repubblicano (in periodi rivoluzionari è molto importante l’esercito), formato da sanculotti, cioè non è costituito più da nobili o mercenari ma è il popolo che combatte per un’idea.
Allora la Francia, per difendersi dalla minaccia delle teste coronate d’Europa, inizia a conquistare dei territori: ai Savoia tolgono la Savoia, nel nord-ovest dell’attuale Piemonte. Nel settembre del 1792 conquistano quindi la Savoia togliendola al nuovo sovrano che si chiama Vittorio Amedeo III, più a sud poi gli tolgono la contea di Nizza per opera degli eserciti dei sanculotti (quelli che oggi chiameremmo esercito repubblicano). E’ così che si forma la cosiddetta prima coalizione, cioè si uniscono le forze dei sovrani d’Europa contro la Francia. La guerra quindi nel ’92 è già iniziata non solo con la PrussiA ma anche con i Savoia sulle Alpi perché i domini continentali loro sono sia sulle Alpi vere e proprie sia nelle Alpi più a sud, quelle che vanno verso Nizza verso il mare. Però, per come si svolgeva la guerra allora, d’inverno non si poteva combattere sulle Alpi perché c’è il gelo, e a quel punto la guerra, se di guerra si può parlare, diventa guerra di trincea. Allora cosa fa il governo francese, chiamato DIRETTORIO? Vota una legge che dice che tutti i possedimenti possibili del re di Sardegna cioè i Savoia e in questo caso in particolare di Vittorio Amedeo III devono essere conquistati quando d’inverno non è possibile continuare la guerra sulle Alpi e gli avevano già “mordicchiato” la Savoia e Nizza si fa una campagna che porta le truppe francesi in un altro possedimento di Vittorio Amedeo III che è la Sardegna, che era un boccone abbastanza ghiotto, perché da un punto di vista strategico, del controllo del Mediterraneo, la Sardegna è molto importante e il grosso dei commerci allora si svolgeva nell’ambito del mediterraneo. Quindi nel momento stesso in cui il direttorio francese stava, il 21 gennaio del 1793, a Parigi ghigliottinando Luigi XVI qua in Sardegna noi abbiamo le truppe repubblicane comandate da questo contrammiraglio che si chiamava Loraine (?) che viene a conquistare la Sardegna.
Allora i sardi, per una serie di circostanze, riescono a parare questo tentativo di invasione francese (nella zona di Capitana, Sant’Andrea, litorale di Quartu, 4000 uomini sbarcano e iniziano a venire verso Cagliari per conquistarla). I sardi come si attrezzano per difendersi? Allora esisteva un Parlamento sardo che era divisa in tre bracci o stamenti (la parola estament traduce il francese “etat” , stato, la condizione della persona) e ne facevano parte i nobili nello Stamento militare che aveva un suo presidente che si chiamava “Voce”; poi c’era un’altra camera, o stamento, o braccio, quello Ecclesiastico, facendo attenzione però al fatto che non ne facevano parte tutti gli ecclesiastici : il basso clero, cioè i parroci, i frati ecc non ne facevano parte, ne faceva parte solo come in Francia l’alto clero: vescovi, arcivescovi e un rappresentante dei Capitoli Cattedrale (ogni sede vescovile ha una cattedrale e nella cattedrale ci sono i canonici, 12 in genere; ogni capitolo cattedrale nominava un rappresentante, in Sardegna allora c’erano 11 diocesi quindi lo stamento ecclesiastico era formato da tutti i vescovi e gli arcivescovi che governavano le 11 diocesi della Sardegna più un rappresentante ogni capitolo cattedrale e in più ne facevano parte i cosiddetti abati mitrati (quei sacerdoti che avevano delle dignità ecclesiastiche di antiche abbazie, in Sardegna queste abbazie erano 3 allora: Santissima Trinità di Saccargia, un’antica abbazia benedettina che si trova vicino a Ploaghe, vicino a Sassari; poi pochi chilometri più in là c’è San Michele di Solvendo, che è in territorio di Ploaghe mentre Santissima Trinità è in territorio di Codrongianus; poi abbiamo San Giovanni di Sinis, che si trova andando a Tharros e il cui abate era in quel periodo Mon Signor Gregorio Cadello che allora era canonico ma che poi diventerà, dopo la cacciata dei Piemontesi, arcivescovo di Cagliari; mitrato vuol dire infatti che hanno la dignità di vescovo questi abati, perché la mitra è quel copricapo che usa il vescovo di forma particolare) e il priore di Bonarcado in Sardegna, anche questa era un’antica abbazia, un monumento romanico che oggi si può visitare. In tutto erano quindi una trentina di persone a costituire la camera degli ecclesiastici. Infine c’era lo stamento Reale. Quindi i sardi, attraverso gli Stamenti, in particolar modo quello militare, formato da più di 400 persone, perché dello stamento militare non faceva parte solo il capostipite della famiglia ma anche tutti coloro che raggiunta la maggiore età avevano diritto per nascita ad entrarne a far parte. Era quindi un parlamento cetuale, cioè ci si apparteneva perché si apparteneva a un ceto alto della società, visto il pericolo, si riuniscono anche se il viceré non voleva (tenete conto che siccome era in atto la guerra sulle Alpi, il sovrano aveva richiesto tutte le truppe che erano anche in Sardegna, che venissero mandate tutte per difendere la frontiera sulle Alpi). Quindi a spese loro i sardi decidono i primi di gennaio del 1793 di pagare 4000 uomini, 8 battaglioni, ciascun battaglione è formato da 500 uomini, che fanno venire da tutti i paesi della Sardegna per difendere il litorale di Cagliari,e che si sistemano infatti dalla città fino alla zona della strada per Villasimius, Capitana, Flumini ecc. i francesi hanno bombardato a lungo Cagliari, però alla fine sia perché c’è stato un fortunale violentissimo eravamo nel mese di febbraio del 93 e loro avevano iniziato ad assediare da gennaio sia perché comunque i sardi, guidati soprattutto da Girolamo Pitzolo hanno saputo rintucciare quel tentativo di sbarco e rimandarli indietro ( le scaramucce sono avvenute grossomodo nel Poetto di Cagliari nella zona che si trova poco prima dello stabilimento balneare del D’Aquila e del Lido, poco prima di monte Sant’Elia, perché lì c’era una batteria che bombardavano dal mare e cercavano di prendere alle spalle). Si stavano avviando verso Cagliari ma non ci sono riusciti per fortuna a Cagliari c’erano le truppe di terra, quei 4000; le truppe francesi si ribellano ai loro comandanti dopo aver ricevuto qualche scoppolata da parte delle nostre e si reimbarcano, quindi attorno alla fine di febbraio ripartono. La Sardegna quindi riesce a frenare l’esercito rivoluzionario francese. Bisogna tener conto di questo fatto, un evento molto importante per la piccola Sardegna allora perché l’Europa viveva nella paura di queste truppe del nuovo esercito francese quindi fu un evento che suscitò in tutt’Europa un apprezzamento generale ed è ciò che poi fa prendere coraggio ai sardi, una presa di coscienza appunto del loro valore delle loro capacità da cui nasceranno come diremo tra poco le cinque domande famose. Possiamo vedere un documento firmato da Pio VI il papa che era in carica allora chiamato “La resistenza contro i francesi” che veniva vista un po’ come una guerra di religione contro i francesi atei che volevano stuprare le donne, che volevano combattere la religione. Qui nel documento c’è scritto Cagliari 1796 però è una ristampa del 96 che si riferisce proprio al periodo di cui stiamo parlando e non sono altro ch’egli elogi fatti da papa Pio VI alle truppe sarde che sono riuscite a respingere i francesi, c’è scritto “raccolta dei brevi che il sommo pontefice Pio VI spedì in Sardegna in seguito alla vittoria conseguita nel 1793. questo rappresenta un momento alto di gloria per i sardi che sono riusciti a fermare i francesi. La lettera, di risposta all’arcivescovo di Cagliari, dice: “Venerabile fratello Salute ed apostolica benedizione. Nel Leggere attentamente la gratissima vostra lettera dell’11 aprile 1793 (subito dopo la vittoria sui francesi) non ho potuto trattenere le lacrime per l’allegrezza in veggendo a voi esattamente descritto quanto già prima ci annunziò la pubblica fama (in tutta l’Europa si diffonde quest’evento portentoso che la piccola Sardegna è riuscita a frenare gli eserciti francesi ) e per tutta l’Europa celebratisi a gloria del sardo nome..” un’esaltazione, quindi del popolo sardo. Ma anche dal punto di vista letterario si ricorda ad esempio una raccolta di poesie del poeta Vincenzo Monti, se andate a vedere grossomodo i versi che vanno dall’80 al 100 del primo canto della Bassvilliana (Hugo di Bassville era un funzionario francese che fu assassinato a Roma proprio in questa fase qua) che viveva A Roma ha fatto la traduzione dell’Iliade immagina che un arcangelo prenda l’anima di Hugo di Bassville e quasi ad espiazione dei mali prenda l’anima e la porti in giro da tutte le parti in cui i francesi hanno subito delle sconfitte. Una di queste tappe parla appunto delle sarde sirti in cui i francesi avevano avuto questa sconfitta. Quindi anche a livello letterario nella Bassvilliana, così si chiama il poema del Monti, nel primo canto parla del ricordo di quest’evento particolare. Cosa accade allora subito dopo? Gli Stamenti sono stati in grado da soli di difendersi allora gli Stamenti si riuniscono perché il sovrano dice: “Caspita sardi come siete stati bravi! Adesso fatemi pure qualsiasi richiesta e io cercherò di esaudirla.” Si riuniscono quindi le tre Camere e concordano di proporre al sovrano una serie di riforme per la Sardegna ricordandogli anche al sovrano che si era un po’ distratto perché non aveva mai convocato il parlamento sardo ( tutti i sovrani piemontesi che si erano succeduti dal 1720 in su non lo avevano fatto), che aveva nella costituzione sarda una funzione importante. Quale era questa funzione? Lo stato di allora si reggeva su questo principio, che oggi noi chiamiamo dei tre poteri: legislativo esecutivo e giudiziario; allora non funzionava proprio così: c’era il sovrano e i corpi intermedi che erano appunto i parlamenti o meglio le rappresentanze cetuali, non ne facevano parte i poveri ma solo le classi alte. Tuttavia questi parlamenti in qualche modo rappresentavano la nazione e la sovranità, cioè il potere dello stato, veniva esercitato, secondo la costituzione di allora, insieme dal sovrano e dai corpi rappresentativi che non erano elettivi ma cetuali. Il sovrano piemontese dal 1720 contrariamente a quello che avevano fatto gli spagnoli, che avevano sempre, ogni decennio, convocato regolarmente l’assemblea parlamentare, non avevano mai convocato il Parlamento sardo. E questa omissione grave i sardi se la sono legati al dito. Allora preparano una piattaforma politica unitaria di riforme urgenti, poi tutto il resto si sarebbe fatto non appena si fossero insediati definitivamente e ufficialmente gli Stamenti, perché adesso era solo a seguito di un evento eccezionale. Le domande che presentano al sovrano sono cinque:
1: chiedono che il parlamento venga riconvocato ogni 10 anni. Cosa significa questo? Significa riappropriarsi di quell’elemento di gestione dello stato perché nella costituzione di allora il potere deve essere gestito dal sovrano e insieme dal parlamento. Come? In questo modo: allora il concetto del rapporto da sovrano e corpi intermedi era di carattere pattizio, del do ut des. Il nostro è molto simile a quello iberico e a quello francese. Perché la Sardegna non era uno stato assoluto in base alla sua costituzione, era uno stato in cui la sovranità era esercitata da questi due elementi fondamentali quindi era una sorta di diarchia, la sovranità era policentrica, bisognava cioè contemperare le esigenze dell’uno e dell’atro. Ma come? Il sovrano chiede a quel determinato territorio suo, in questo caso la Sardegna che era a titolo di regno e da cui lui desumeva il titolo di re di Sardegna un certo cespite finanziario, una certa tassazione che doveva andare al tesoro dello stato. E chi lo votava, questo che veniva chiamato donativo ( ciò che la Sardegna doveva versare alle casse del re)? Lo votava il Parlamento in cambio delle libertà in cambio di quelli che allora si chiamavano privilegi (da noi oggi la parola privilegio ha assunto una connotazione negativa, mentre allora questo vocabolo significava le libertà dei ceti, delle città cioè a dire quelle leggi che erano a vantaggio di questo o di quel ceto sociale, di questa o quella città che costituivano le leggi di allora: si chiamavano capitoli di corte). Quindi il donativo veniva votato dal Parlamento e se non veniva votato dal parlamento il sovrano non ti dava i privilegi o le leggi.

2: il rispetto delle leggi fondamentali e dei privilegi della Sardegna. Una delle leggi fondamentali era appunto questa, di ricordarsi che non era una monarchia assoluta ma è una monarchia mista. Un testo, un brano che ho qui che si intitola “l’Achille della sarda rivoluzione” , è un libello antifeudale e antimonarchico o meglio antiassolutista di prim’ordine. Uno degli indiziati per aver scritto questo testo è si Muroni però la prosa probabilmente appartiene di più a un professore universitario di diritto che non a un sacerdote. Sicuramente sarà un qualcosa concordato però la prosa è proprio quella di uno che ha studiato diritto. Nel libro noi possiamo leggere “ Analisi della sarda costituzione politica” (questa cosa appare all’epoca di Angioy, cioè attorno al 95 96) e ribadisce le cose prima dette per il rispetto delle leggi fondamentali, la regola fondale è quella appunto di rispettare la costituzione di un regno e infatti dice: “ …Il reame di Sardegna non è un’assoluta monarchia. Il governo di Sardegna è un governo misto( cioè la sovranità viene esercitata in modo paritario dall’uno e dall’altro elemento costitutivo dello stato).

3: gli impieghi ai sardi. Ricordatevi che gli impieghi erano tutti riservati a favore dei piemontesi

4: la costituzione di una terza sala della Reale Udienza (il supremo tribunale -e allora anche organo di governo in parte, perché coadiuvava il viceré, il delegato del re, con alcune materie politiche- dove c’era una sala civile e una sala criminale cioè penale e civile come diremmo noi oggi, però mancava nell’amministrazione dello stato e la reale udienza era l’organismo con cui si amministrava lo stato tramite il viceré si chiedeva una terza sala, sala vuol dire un settore dell’amministrazione, quello che oggi si potrebbe definire un assessorato che avrebbe dovuto occuparsi della normale amministrazione, di tutte quelle pratiche burocratiche e del commercio che normalmente passavano sotto il controllo del viceré mentre i sardi vogliono adesso controllare loro stessi queste attività e quindi volevano che si istituisse una sorta di piccolo ministero regionale che si riferiva alla quotidiana amministrazione.

5: istituire un ministero degli Affari di Sardegna in Piemonte. Perché questo? Per dare unitarietà alla politica sulla Sardegna che veniva governata da Torino ma senza che vi fosse un ministero apposito: le materie che concernevano la Sardegna venivano amministrate a Torino da due ministeri: il Ministero dell’Interno e il Ministero della Guerra. Si chiedeva di dare un indirizzo unitario creando un Ministero per la Sardegna.

Nel Luglio del 1793 il Parlamento sardo cioè i rappresentanti della nazione sarda mandano a Torino da Vittorio Amedeo III con queste 5 domande sei ambasciatori, due per ciascuno degli Stamenti. Il sovrano non li riceve, se ne stanno per mesi senza far nulla e li riceve solo nel mese di dicembre e solo nel mese di aprile viene data una risposta ma non a loro che erano andati li a presentare sei ambasciatori della nazione sarda queste richieste, ma mandano le disposizioni direttamente al viceré e a loro non viene detto nulla. Si può immaginare l’arrabbiatura di questi signori, che rappresentano la nazione e non sono degni neanche di una risposta. Se ne tornano quindi di Sardegna quando vengono a sapere dalla Sardegna la risposta che era stata data dal sovrano. Ma qual era la risposta del sovrano? Siamo al giorno 1 aprile del 1794: il decreto legge dice: il sovrano non concede nessuna di queste domande nessuna di queste richieste di riforma. Ecco quindi cosa bisogna collegare quando il 28 aprile si festeggia Sa die de sa Sardigna: bisogna ricordare che il 28 aprile che porta alla cacciata di tutti i piemontesi dalla Sardegna nasce proprio dal fatto che i sardi si sono trovati beffati perché il sovrano prima ha promesso di concedere le riforme ai sardi quando hanno scacciato i francesi, e poi non ha concesso nessuna di queste 5 fondamentali domande di riforma dello stato o meglio di richiesta di sana amministrazione dello stato. E’ allora che scoppia a Cagliari la rabbia popolare, che dopo Cagliari scoppia in tutte le altre città della Sardegna, i piemontesi vengono scacciati tutti tranne l’arcivescovo di Cagliari e i religiosi che non vengono cacciati via ma i laici vengono tutti cacciati via. Una volta che vengono cacciati via c’è un momento importante perché non ci sono più funzionari piemontesi e i sardi attraverso la Reale Udienza si devono governare da soli. Si governano con soli magistrati sardi con soli funzionari e politici sardi. Governa quindi la Reale Udienza con solo alti funzionari sardi (di cui fa parte anche l’Angioy, uno dei giudici della Reale Udienza, che erano in tutto un 12 o 13 più gli aggiunti, quelli che coadiuvavano, che iniziavano la carriera gratuitamente e poi piano piano entravano nel settore) però vigeva la regola che mentre un giudice poteva essere sardo mai c’era stato fino a quel momento chi avesse fatto da Intendente Generale che era colui che si occupava dell’esazione delle tasse e quindi del donativo e neppure il Reggente della Reale Cancelleria, quello che diventerà poi Cocco; erano sempre state cariche affidate ai piemontesi, le alte cariche, quelle più importanti, erano sempre e solo piemontesi. Anche il viceré Balbiano viene imbarcato e spedito e ci si autogoverna in Sardegna. Il nuovo viceré arriverà nell’isola solo nel settembre del 1794 (si chiama Vivalda) solo dopo che gli Stamenti e la Reale Udienza hanno detto si può tornare però solo a condizione che il sovrano inizi un processo di riforma, cominciasse a concedere qualcosa delle 5 domande, infatti dovete sapere che Vivalda, il nuovo viceré può tornare in Sardegna nel momento in cui il nuovo Ministro degli Interni che si chiama Avogadro di Quaregna fa delle aperture e dice si vi promettiamo che faremo la convocazione del parlamento e che stiamo avviando la discussione per le richieste che voi avete fatto.
Autunno ’94: proprio a seguito della cacciata dei piemontesi il sovrano comincia a capire traite Avogadro di Quaregna che non si poteva andare in una situazione di muro contro muro. E la prima concessione che fanno è di attribuire le due più alte cariche del regno che sono quelle di Intendente Generale e di Generale delle Armi, uno che comandava i contingenti militari della Sardegna e l’altro che si occupava dello stato finanziario della regione sarda, a due sardi che sono Girolamo Pitzolo che è uno degli eroi della resistenza contro i francesi, e il marchese della Planargia che sino a questo momento era stato nel continente, perché prima di questo momento lui era il governatore di una delle città del nord del nord Italia, era stato governatore di Cuneo ad esempio, e viene mandato in Sardegna. Se non che a questo punto il partito patriottico che aveva portato avanti quel progetto di riforma delle 5 domande comincia a dividersi e Pitzolo e Planargia ritengono che la rivoluzione sarda si possa fermare qui perché il re ha recepito la richiesta che siano i sardi a occupare i posti nell’ambito dello stato, i posti di grande responsabilità; c’è invece tutto l’altro movimento, capeggiato da Angioy, da Ignazio Musso, dall’avvocato Cabras, a cui appartiene la borghesia cagliaritana, a cui appartengono i prinzipales, a cui appartiene la piccola nobiltà di campagna che ritiene che il processo di riforma debba essere ben diverso perché c’è tutto il sistema feudale poi da abbattere. Nasce quindi la prima crepa all’interno del partito dei patrioti che porterà, poiché quei due Pitzolo e Planargia addirittura si fanno sotterraneamente delatori di coloro che sono visti come Giacobini, che vogliono quindi una riforma più larga, fanno addirittura delle liste di proscrizione, volevano imprigionarli. Ed è così che nel luglio del 1795 avvengono quei due assassini politici. La componente dei patrioti sardi che vuole una riforma più allargata e il popolo cagliaritano ammazzano questi due personaggi come accade nei delitti politici: viene assassinato prima il Pitzolo il 6 Luglio del 1795 e 15 giorni dopo viene assassinato il marchese della Planargia. Il partito reazionario dell’ex partito patriottico viene cioè spazzato via. E’ un momento molto delicato questo nell’ambito della politica di allora, sono due assassini politici in piena regola. Che cosa accade adesso? Nel momento stesso in cui sta accadendo questo che vi sto narrando i feudatari, che appartenevano all’ala reazionaria legata al Pitzolo e al Planargia, cercano di opporre resistenza e dicono “ma questi di Cagliari sono tutti giacobini! Robespierristi! Non vogliono più il re, la monarchia, vogliono la repubblica!” e allora fanno resistenza a Sassari e arrivano a chiedere che il capo di Sassari possa governarsi autonomamente rispetto al capo di Cagliari cioè rifiutano l’obbedienza all’autorità legittima che è il viceré. Siamo nell’agosto del 1795. nel contempo però nasce un grosso movimento di opposizione ai feudatari nelle campagne: la Sardegna è in fiamme tra l’estate e l’autunno del 1795 perché prima si è mossa la città, adesso si stanno movendo i vassalli delle campagna che stanno chiedendo anche loro riforme e cosa sono queste riforme? Abolire il feudalesimo o quantomeno contenere gli abusi del feudalesimo. Perché voi sapete che nell’ambito del feudalesimo come avrete avuto modo di leggere ad esempio sui tributi si pagava il legnatico, si pagava l’erbatico, si pagava il ghiandatico ecc. Queste tasse erano però troppo esose allora per cercare di contrastare i feudatari del nord e il feudatari del sud e il viceré decidono di iniziare a dare un segnale di apertura agli abitanti dei feudi che protestavano contro gli abusi feudali. E fanno una circolare a firma di Don Filippo Vivalda , del 10 Agosto del 1795 in cui sostengono appunto la necessità di dare ascolto ai vassalli perché sicuramente ci sono dei diritti illegittimamente esatti, che venivano chiamati appunto diritti controversi. Erano illegittimi perché quando il feudatario riceve l’investitura dal sovrano, nel diploma di investitura ci sono tutte le clausole in virtù delle quali può amministrare. Quindi ci sarà scritto quali sono i balzelli che devono pagar i vassalli. Nel tempo però questi balzelli erano diventati insopportabili perché erano stati aggiunti dei balzelli rispetto a quelli che c’erano nei diplomi di infeudazione, e questi erano illegittimi. Ve ne cito uno: il duca dell’Asinara che era un Manca, un sassarese che aveva però anche i feudi di Thiesi, di Ittiri e in quella zona là, chiedeva ai vassalli un balzello veramente strano, lui chiedeva quello che in sardo viene chiamato “su peddio de su sorighes” su peddio era una specie di recipiente, una misura di capacità che corrisponde pressappoco a un litro. I suoi vassalli dovevano quindi versare in più di tutti gli altri balzelli che sono tantissimi, perfino un balzello perché siccome nei suoi magazzini i topi gli mangiavano il grano l’avena l’orzo ecc, invece di aggiustersi i magazzini voleva essere compensato perfino di ciò che perdeva perché c’erano i topi. Un esempio limite quindi di balzello non legittimo. Allora gli stessi feudatari si accorgono di questo passaggio del limite e con questa carta qui che viene affissa in tutte le curie baronali (l’attuale comune, o tribunale) che recita “ circolare del vicere Filippo Vivalda diretta alle città e ville del regno” e dice “ le molteplici liti, e dissenzioni che giornalmente vanno eccitandosi in diverse ville del regno e di loro rispettivi feudatari relativamente all’esazione di vari diritti feudali che si protendono abusivi o perché contrari alla legge o perché recentemente introdotti senza legittima autorità… [ il viceré sta quindi riconoscendo che c’è un abuso]” Tutti coloro che si trovano in queste condizioni sono quindi invitati a eleggere un rappresentante e mandatelo a Cagliari con scritte tutte quelle rivendicazioni che avete contro i balzelli illegittimamente esatti dai feudatari perché dinnanzi agli Stamenti, dinnanzi al viceré e dinnanzi alla Reale Udienza se ne discuta per trovare una composizione.
Cosa accade quindi? I feudatari di Sassari questa carta non la vogliono accettare per cui il viceré è costretto nell’ottobre del 1795 quando si sono rifiutati di affiggere al pubblico questa circolare, a mandare 3 funzionari ad acta, cioè tre funzionari verso il nord della Sardegna con l’incarico di passare nella curia di ogni paese per vedere se avevano omesso di pubblicare questa carta qui.