Foto di Gruppo II



In questa foto di gruppo invece siamo in classe in compagnia del Professor Martinez.

Logo del Progetto


Realizzato da Massimiliano Casu.

Credits

La classe

Alice Arca
Accoglienza

Claudia Aresu
Lavoro di sbobinatura
Segreteria


Alessandro Chessa

Redazione
Presentazione finale del progetto

Ambra Delogu
Presentazione del progetto presso il comune di Bono

Michela Delussu e Sabrina Podda

Relazione e sintesi del saggio "I quattro tempi della rivoluzione angioiana" di Luciano Marroccu

Valentina Dessì
Articolo sulla visita all' Archivio di Stato di Cagliari

Valentina Esposito
Articolo riguardo le impressioni della classe su questo progetto
Accoglienza

Giulia Meloni

Acquisizione fotografica; lavoro di sbobinatura
Segreteria

Stefano Lampis
Lavoro di sbobinatura


Marco Montella

Redazione
Blog master
Lavoro di sbobinatura
Segreteria


Chiara Noviello

Accoglienza






I professori


Luciano Carta
DS del Liceo Scientifico “Brotzu” di Quartu Sant’Elena


Lezioni frontali
Correzioni
Supervisione storica


Massimiliano Casu
Ingegnere, libero professionista (Madrid)


Ideazione e realizzazione grafica

Giuseppina Catani
Archivio di Stato di Cagliari


Laboratorio archivistico
Correzioni

Pierluigi Lecis
Docente di Filosofia Teoretica all’Università di Cagliari


Lezioni frontali
Correzioni
Blog
Supervisione filosofica


Antonello Manzo
Vice preside e docente di Storia e Filosofia del Liceo “Pacinotti” di Cagliari


Lezioni frontali
Correzioni
Organizzazione


Ettore Martinez
Docente di Storia e Filosofia del Liceo “Pacinotti” di Cagliari


Ideazione e coordinamento del progetto,
Lezioni frontali
Correzioni
Blog


Cristina Mereu
DS del Liceo Scientifico “Pacinotti” di Cagliari


Supervisione didattico-educativa
Elaborazione grafica









Siti di riferimento

Sulla Sarda Rivoluzione
www.rivsarda.it

Sulla Sardegna nel Risorgimento

http://ospitiweb.indire.it/~caps0001/risorgimento/casa.html

Foto di gruppo

In questa immagine, scattata il 28 Febbraio 2009, il Professor Carta posa con la 4L al termine della sua prima lezione il cui contenuto può essere reperito a Questo Link



Articolo

A coronamento della nostra esperienza, e in seguito alla presentazione finale del progetto, tenutasi il 4 maggio nell'Aula Magna del Pacinotti, un noto giornale locale ci ha chiesto di scrivere un breve articolo che riassumesse quello che è stato il nostro percorso alla scoperta, appunto, della Rivoluzione Sarda.

L'articolo, scritto da me e da Claudia Aresu, è stato pubblicato Mercoledì 6 maggio e, nonostrante abbia subito qualche modifica editoriale, come l'eliminazione di alcune righe concernenti la Dottoressa Catani e la visita all'archivio di stato, conserva invariato il pensiero e le idee che intendevamo trasmettere.



Viaggio a Bono

Mercoledì 15 maggio 2009, la IV L e la III E si sono recate in visita al Comune di Bono, con i docenti accompagnatori Ettore Martinez e Renzo Usai, per integrare con un'esperienza sul campo i programmi di storia regionale delle rispettive classi. Essi, benché separati da oltre cinquecento anni di storia, convergono e si intrecciano in questo paese situato quasi al centro della Sardegna, al confine meridionale della regione del Goceano. Bono è infatti conosciuto in Sardegna principalmente per aver dato i natali all'eroe regionale Angioy, protagonista indiscusso delle ultime fasi (e forse anche delle prime) del Triennio Rivoluzionario Sardo. Tuttavia, non lontano dal centro abitato si può ammirare ciò che resta di una delle più famose roccaforti della Sardegna Giudicale: l'inespugnabile castello di Burgos, che dall'alto di una irta collina getta sull'ampia valle il distaccato sguardo di un vecchio colosso che ha visto letteralmente la storia scorrere ai suoi piedi.

Di seguito il mio personale resoconto del viaggio:

Arriviamo a Bono in tarda mattinata, dopo un lungo viaggio in pullman, durante il quale abbiamo visto la pianura campidanese cedere il passo ai monti del Centro-Sardegna, allo stesso modo in cui una bellissima giornata di sole è seguita alla foschia ed alla bruma mattutina.

La prima impressione di Bono non si discosta da quella che chiunque potrebbe avere vedendo per la prima volta un tipico paese del nord isolano: arroccato su un monte dalla cima smussata, irregolarmente costellato di salite e discese senza quasi uno schema, prevale un colore rosato, neutro sulle facciate e sui muri delle case.

L'autobus si ferma in quella che con ogni probabilità è la piazza principale della città: una fontana, giovani e anziani seduti sulle panchine circostanti e un bel murale a colpire il nostro occhio non appena scesi dalle scalette. Pochi minuti per ricomporci dal viaggio e ci incamminiamo, guidati dal professor Martinez, alla volta del Palazzo Comunale, dove saremo a breve ricevuti dal sindaco della città. Il tempo di fare qualche foto di gruppo, suscitando ovviamente i divertiti sguardi degli abitanti, e siamo invitati a fare il nostro ingresso nel palazzo prima e nella sala delle riunioni del Consiglio Comunale poi. Al suo interno notiamo subito un grosso busto dell'Angioy, che, da un angolo della stanza, tiene d'occhio tutto e tutti. Il sindaco, Pietro Molotzu, si unisce a noi pochi minuti dopo il nostro ingresso, e ci da il benvenuto a Bono con un discorso conciso ed efficace. Non è la prima volta che il sindaco collabora con il nostro istituto, e in particolare con il professor Martinez: già in passato classi di studenti hanno avuto la possibilità di fare la nostra stessa esperienza. Si percepisce quasi una sorta di intesa fra i due, e il primo cittadino non delude le attese facendo seguire al discorso di ringraziamento pronunciato da una nostra compagna un rinfresco, in linea con la tipica ospitalità di cui i Sardi da sempre si vantano.

Al termine del rinfresco salutiamo il sindaco e i suoi collaboratori per visitare il paese. Sotto il sole del mezzogiorno percorriamo vie e viuzze di Bono, fino a giungere alla casa natale del'arcinoto Giomaria. Davanti ai nostri occhi non c'è un mausoleo, né un cartello stradale ci ha guidato alla meta. L'edificio è anonimo, semplice, e ospita un ambulatorio medico. Solo una targa in marmo ricorda ai passanti e conferma a noi che ci troviamo di fronte alla prima casa dell'Angioy. Indubbiamente, ci spiega il professore, questo è dovuto al fatto che per tutto il periodo che intercorse tra la fuga di Angioy (1796) e la fine del regno di Sardegna, egli non fu considerato dal governo e dalle istituzioni se non un fuorilegge, un traditore, un rivoluzionario o un brigante, addirittura, nient'affatto degno di ricevere qualsivoglia encomio alla memoria, la cui sola persistenza era ritenuta addirittura pericolosa a causa delle idee democratiche e libertarie che il rivoluzionario incarnava. Ci tratteniamo ancora qualche minuto davanti all'ambulatorio, scattiamo qualche foto ricordo. Non troppe però, l'intonaco grigio e crepato dell'edificio non è il migliore sfondo immaginabile per una foto di classe.

Proseguiamo sulla stessa strada di prima, salendo progressivamente finché non ci troviamo su uno spiazzo di medie dimensioni adiacente ad una chiesa. Facciamo la conoscenza del parroco, che incrociamo per caso, e che ci saluta con voce affabile e accento indefinibile. La facciata della chiesa è romanica, con ovvie influenze pisane, ma non ha successo nell'attrarre su di sé i nostri sguardi per più di qualche secondo. Davanti a lei si apre infatti uno scorcio bellissimo del paese e delle zone circostanti, uno dei più belli che abbiamo avuto modo di vedere a Bono. Questo si è uno sfondo adatto per sfogare l'ostinato istinto di autocelebrazione dei viaggiatori!

Dopo un breve riposo nel piazzale, torniamo indietro ripercorrendo gli stessi passi dell'andata. Arriviamo fino in prossimità del Palazzo Comunale, fino a una chiesetta, meno appariscente della precedente, che si trova però in un luogo sede di una curiosa tradizione locale. Ogni anno infatti viene fatta rotolare giù dalla discesa una grossa zucca, a simboleggiare la fuga delle truppe sardo-piemontasi che avevano attaccato Bono con le peggiori intenzioni, probabilmente per vendetta verso Angioy, solamente per essere poi messe in fuga dalla veemente reazione degli abitanti. Dalle scale di fronte alla chiesetta, ancora teatro di fotografie di gruppo, è stato nuovamente possibile godere della vista di uno stupendo paesaggio urbano e rurale al contempo.

Subito dopo abbiamo fatto ritorno al pullman, non poco desiderosi di placare del tutto la fame appena smorzata dal rinfresco comunale. In una decina di minuti l'autobus ci ha condotti fuori dal centro abitato, nel pieno della campagna del Goceano, dove ci attendeva un caratteristico agriturismo, con tanto di allevamento incluso. Mangiamo bene, fin troppo bene. D'altra parte non capita molto spesso di poter gustare cibi tradizionali come la pecora in umido, piatto forte del pranzo, il cui ruolo di "solista" gastronomico è stato insidiato dai suoi validissimi comprimari, come il prosciutto, la coppa, gli gnocchetti o le verdure fritte di antipasto. Quando ci alziamo dalla tavola siamo colti dalla tipica sonnolenza pomeridiana, al punto da convincere i professori a lasciarci qualche minuto di riposo nei dintorni dell'agriturismo. Un riposo che avremmo volentieri prolungato, non fosse stato per l'incedere esageratamente zelante delle lancette dell'orologio. Il tempo stringe, dobbiamo ancora visitare Burgos e castello. Vi arriviamo, ancora una volta, a bordo del pullman che ci ha accompagnato fin da Cagliari, e come scendiamo, non è un murale ad accoglierci, ma un muro.

Un muro di pietra, per la precisione. Alto oltre cinquanta metri, che vanno a sommarsi agli oltre cento che il provvidenziale veicolo ha divorato percorrendo spirali sempre più strette. Ci troviamo su una colonna naturale di dura pietra, in cima alla quale attende senza fretta la roccaforte millenaria. Percorriamo con fatica una salita curvilinea, ma non per questo meno impegnativa, che ci conduce ad un soleggiato piazzale, dove una giovane quanto esperta guida ci introduce con estrema precisione alla storia, ai segreti e alle non sempre edificanti vicende che hanno avuto nel castello di Burgos teatro ideale quanto duraturo nel tempo. Una mezz'ora di spiegazione che ci stanca non poco, a dispetto dell'interessante discorso della guida, che ha successo nel tenere generalmente alta l'attenzione, ma nulla può contro il sole cocente che stanca il corpo e fiacca la mente. Finita l'introduzione storica procediamo verso l'ultimo, e di gran lunga più impegnativo tratto di salita, servendoci di scalette in pietra installate (provvidenzialmente) non troppo tempo addietro. Qualcuno lo dice, qualcuno ci scherza, ma di sicuro tutti lo pensano: possiamo davvero capire perché solo una volta in ottocento anni il castello e i loro abitanti abbiano subito lo scacco decisivo dagli assedianti. Chi avrebbe potuto, e soprattutto voluto, sfidare la montagna cimentandosi con la massacrante salita, rischiando peraltro di venire massacrato in senso stretto dai rudimentali ma efficaci mezzi di difesa?

Una volta giunti in cima vediamo da vicino l'imponente torre del castello, e notiamo con sorpresa il suo a dir poco eccellente stato di conservazione. Sembra troppo perfetto per essere vero. Infatti, come previsto, non lo è. Quello che i nostri occhi vedono è solo un rivestimento in muratura, costruito di recente al fine di proteggere la vera torre, la cui salda struttura, già diroccata, veniva periodicamente martoriata da decine di fulmini. La roccaforte non sembra avere avuto un'influenza positiva sul folklore locale: è nata nei secoli l'immagine di un tetro castello, colpito da fulmini ogni qualvolta il cielo ruggisce, teatro di omicidi e tradimenti, infestato da presunte anime in pena latrici di sventura al già di suo sventurato passante che dovesse avventurarsi nottetempo sugli insidiosi pendii, pilastri alla roccaforte. Insomma, non il luogo più indicato per un picnic. E invece, le uniche persone sul monte a parte noi ragazzi, i professori e la guida, erano una coppia di giovani intenta a consumare un pranzo al sacco comodamente seduti su una panchina naturale. Dovevano essere stranieri, di sicuro!

Terminata la visita al castello, ripercorriamo la stessa ardua salita di prima, ormai trasformatasi con rigore eracliteo in una altrettanto ripida discesa. Il rischio, specie per i meno allenati, non è tanto di stramazzare a terra, quanto piuttosto di fare la fine della proverbiale zucca di Bono. Interrompiamo la discesa appena iniziano a comparire delle case sul fianco della montagna. E' Burgos, il paese sorto affianco al castello. Ci addentriamo ancora attraverso vie strettissime, incontrando automobili parcheggiate misteriosamente, in barba alle strade letteralmente a misura d'uomo. In pochi minuti giungiamo al museo di Burgos, due piani e cinque esposizioni. Non sarà il Louvre, ma ha indubbiamente la sua dignità! Terminata la visita guidata al museo, torniamo al pullman che ci riporterà a Cagliari, la stanchezza nelle gambe sgradito ma temporaneo lascito del castello e del saliscendi di Burgos, la consapevolezza di aver trascorso una giornata intensa, istruttiva e piacevole eredità sicuramente più duratura, del viaggio.



Marco Montella, IVL

Dimensione sarda portata allo scoperto.

Relazione sull'esperienza della classe all'Archivio di Stato

Quanti di noi si sono chiesti perché nei classici manuali di storia non sia presente la Sardegna? O anche, che ruolo ha ricoperto la nostra isola nel passato? A queste domande tenta di rispondere continuamente l’Archivio di Stato di Cagliari, ufficio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. L’obbiettivo che si pone questa struttura è principalmente quello di far conoscere la “dimensione sarda” cioè la storia delle istituzioni sarde, mettendo a disposizione dell’utenza una molteplicità di documenti che vengono conservati e inventariati per rendere più agevole la loro consultazione. In Sardegna sono presenti quattro Archivi di Stato, uno per ogni provincia, anche se il più corposo e il più importante è senz’altro quello di Cagliari, città che è stata per molti anni capitale del Regnum Sardiniae, regno che ebbe inizio con la conquista catalano-aragonese dell’isola e proseguì poi senza soluzione di continuità con il dominio spagnolo, un breve periodo di governo austriaco seguito poi dal periodo di dominazione sabauda dal 1720 sino al 1848 cioè alla cosiddetta “fusione perfetta” con il Piemonte.
Ma come funziona veramente un Archivio di Stato ? Che tipo di documenti troviamo in un Archivio? In questo ente viene conservata, oltre alle carte prodotte dagli uffici dello Stato nel periodo postunitario, la documentazione relativa agli avvenimenti preunitari, cioè a tutto ciò che è stato prodotto dalle istituzioni che hanno governato politicamente ( governatori e viceré) o amministrato l’isola ( procuratori reali, intendenti generali) comprendendovi anche gli organi d’amministrazione della giustizia. Prendendo in considerazione il periodo sabaudo che riguarda la nostra ricerca, esisteva un ufficio, chiamato Regia Segreteria di Stato e di Guerra con sede a Cagliari, che aveva il compito di redigere gli atti relativi agli affari politici e giuridici dell’isola di competenza viceregia in collegamento con le segreterie e i dicasteri torinesi. Questo continuo scambio di istruzioni ha prodotto una documentazione corposa che è stata descritta nell’ Inventario della R. Segreteria di Stato redatto da Francesco Loddo Canepa ( 1887- 1966) che fu professore universitario e direttore dell’Archivio di Stato di Cagliari. Occorre pensare a questo inventario non come a una semplice lista di eventi, ma come ad una descrizione analitica che ci aiuta a capire e ad analizzare tutto il materiale archivistico del fondo della R. Segreteria di Stato: atti ricevuti, atti spediti, atti originali e atti in copia. Su questa base si può anche dire che a Torino, presso l’Archivio di Stato, sia conservato per un certo periodo un archivio complementare a quello di Cagliari.
Un’ altra istituzione importante per la ricostruzione storica del triennio rivoluzionario è quella della Reale Udienza di Sardegna, creata nel 1564 come tribunale supremo del Regno con competenze civili e penali che mantenne sino al 1848; nel corso del tempo assunse anche attribuzioni politiche e amministrative e tra queste l’esercizio dell’autorità viceregia, in caso di vacanza della carica. E’ questo il ruolo di fondamentale importanza che assume dopo il 28 aprile 1794 (cacciata del viceré e dei funzionari piemontesi dalla Sardegna) quando, per la prima volta, diventa il più alto organo di governo dell’isola con un atto in qualche modo rivoluzionario perchè, per quanto fosse consentito dalle leggi del Regno, non era mai accaduto prima che la Reale Udienza pretendesse di esercitare tale autorità, per di più in questo caso, dopo la destituzione del viceré. Infatti era accaduto che nel corso del Settecento fossero morti due viceré in carica ma si era provveduto secondo una prassi consolidata secondo la quale il sovrano nominava,insieme al nuovo viceré, un suo sostituto, in caso di assenza o di decesso, consegnando un plico chiuso al Reggente la Reale Cancelleria. Questo mutamento governativo è possibile verificarlo e dimostrarlo anche con gli atti che ci sono rimasti: difatti è presente un “buco” nell’Inventario della R. Segreteria di Stato dove il Loddo Canepa ha annotato che, per il periodo che va dal 30 aprile al 24 settembre1794, governando la Reale Udienza con autorità viceregia, i dispacci che mancano si trovano nell’archivio di quella magistratura.
Molto importante fu anche il ruolo esercitato in questo periodo dal Parlamento, istituzione che aveva caratterizzato l’ordinamento giuridico del periodo aragonese e spagnolo; la documentazione degli atti dei Parlamenti riguarda le richieste degli Stamenti militare, ecclesiastico e reale che venivano presentate al viceré ed approvate poi dal sovrano. Oltre che come istituzione in generale, le riunioni degli stamenti furono molto importanti a partire dal gennaio 1793 quando lo stamento militare decise di autoconvocarsi impegnandosi a finanziare nuovi arruolamenti e procurando provviste e attrezzature per poter contrastare la minaccia francese. Possiamo ricordare, parlando appunto dello stamento militare, il marchese Francesco Maria Asquer, signore di Flumini che finanziò le spese per la lotta contro i francesi; queste informazioni, non sono di carattere generale e riguardano specifiche vicende, possono essere raccontate e toccate con mano grazie anche agli archivi privati, come quello della famiglia Asquer, che vengono donati o depositati nell’Archivio di Stato.
Tutte queste informazioni sulla dimensione sarda non sarebbero potute essere tramandate fino ai nostri tempi se non ci fosse stata una struttura di questo tipo pronta a raccogliere e a preservare la loro importanza. La visita all'Archivio è stata senz'altro un’esperienza molto educativa che ci ha permesso, a me e alla mia classe ( 4L liceo scientifico A.Pacinotti ) di approfondire la conoscenza delle origini della nostra isola e grazie all'archivista Giuseppina Catani, che ci ha fatto da guida in questo viaggio nella dimensione sarda settecentesca, a capire realmente la validità culturale di questa istituzione. Quindi invito chiunque volesse solamente saperne di più sulla storia sarda, a recarsi in Archivio dove rimarrà soddisfatto e anche forse sorpreso da tutte le spiegazioni che gli verranno fornite.

Lezione del Professor Carta - 14 Marzo 2009

Lezione del Professor Luciano Carta, tenutasi il 14 Marzo 2009 intorno agli avvenimenti che caratterizzarono il periodo definito poi come Triennio Rivoluzionario Sardo.
Trascrizione di Claudia Aresu e Giulia Meloni.


Tutti i piemontesi prima vengono raccolti e messi in una sorte di stato di cattività dove nel monastero ad esempio di Santa Rosalia (siete mai stati a Cagliari in via Manno? Sulla destra c’è il convento di Santa Rosalia. Se poi tornate in via Dante e vedete la libreria Dessì di fronte c’è un altro monastero di suore oppure se voi andate in via Università gli edifici che trovate subito dopo che passate il fornice della porta della torre dell’Elefante tutto quell’edificio che parte dalla chiesa di San Alanzio, il patrono degli ordini degli scolopi, quella era la scuola degli scolopi dove venivano anche “ammassati” i piemontesi) vengono “imprigionati” anche se non vengono mandati nelle carceri della torre di San Pancrazio.
Vengono raccolti intorno ai 600-620 piemontesi.
In quella settimana che va dal 28 aprile al 7 di maggio la Reale Udienza che assume i poteri vice regi perché il viceré viene in pratica imprigionato sebbene stia nel suo palazzo i piemontesi vengono divisi in tre navigli noleggiati dalla Reale Udienza e dagli stamenti.
I capitani di quelle navi erano stati pagati per trasportarli a Livorno.
Il porto di Genova non era il porto di arrivo di tutto il traffico commerciale che c’era tra la nostra isola e il continente. Il porto di arrivo era Livorno perché era più facilmente raggiungibile, è di fronte alla Corsica quindi ed era quindi la via più breve per mare.
Arrivati lì c’era un console sabaudo, un funzionario che controllava i traffici, uno dei consoli di Livorno era il fratello di Francesco Baretti, autore de “La frusta letteraria” originario come l’Alfieri dell’Astigiano.
La scorsa volta avevo sottoposto alla vostra attenzione la circolare del 1795 che veniva affissa in tutte le curie baronali (gli attuali comuni) in cui si diceva che c’era il grosso problema dei diritti feudali controversi: le tasse che si pagavano che però non venivano riconosciute come tasse presenti nello strumento d’investitura (carta attraverso la quale un sovrano ti affida un feudo e lì ci sono tutte le tue competenze all’interno del feudo, c’è scritto anche il tipo di tassazione che può esigere perché il feudatario all’interno del suo feudo funziona quasi da re (amministrazione finanziaria, amministrazione giudiziaria di primo grado) e per il capo di Sassari avveniva attraverso la Reale Governazione che era un ufficio distaccato della Reale Udienza di Cagliari che svolgeva la stessa funzione e ne era a capo Gavino Antioco Santuccio, governatore di Sassari, uno di quei quattro funzionari che vengono nominati nell’estate del 1794 insieme a Pitzolo, Planargia e Cocco.
Questa circolare famosa del 16 agosto era una sorta di mediazione tra vassalli e feudatari che verrà corroborata poi da un’altra circolare che mano a mano che si arriverà a una situazione di richiesta di separazione del capo di sopra dal capo di sotto e quindi al pericolo di una guerra civile i feudatari dopo questa circolare ne fanno un ulteriore: “Si invitano i consigli comunitativi ( in genere c’erano i maggior enti dei paesi, i prinzipales oppure i don, i nobili, dei nostri paesi) di nominare un delegato la cui funzione era quella di recarsi a Cagliari per esporre quelle che erano le rimostranze dei vassalli di quel determinato feudo (erano circa 80 a quel tempo) in modo tale che questa sorta di fiduciario delle singole amministrazioni, anche se generalmente non lo si mandava per un comune solo ma per un gruppo di 3, 4, 5 comuni, con facoltà di mediare la situazione esponendo davanti agli stamenti e alla reale Udienza le rimostranze sui delitti illegittimamente esatti in modo tale che poi si potesse arrivare a riconoscere sulla base di quello che c’era nei diplomi d’investitura e sulla prova palese che erano illegittimi, si potesse arrivare a mediare.
“Procurade e moderare barones sa tirannia” ciò significa “dovete cercare di trovare una mediazione su questa situazione di disagio sociale perché i vassalli sono troppo gravati spesso con dei balzelli, delle tasse, eccessive e addirittura non riconosciuti legalmente perché devono essere eventualmente lo strumento dell’investitura.
Che cosa accade nel capo di Sassari? Poichè su questa posizione sono tutti i feudatari del capo di Cagliari da Macomer in giù perché anche a Macomer c’è un opposizione nei confronti di questo tipo di posizione politica che è stata assunta dalla Reale Udienza, dagli stamenti e dal vice re.
I sassaresi guidati da una classe dirigente feudale che era piuttosto retriva, il più noto è quel famoso Duca dell’Asinara che, citato spesso ad esempio di quello che può essere un diritto controverso, era colui che faceva pagare ai suoi vassalli un quantitativo di frumento perché i topi gli mangiavano nei suoi magazzini l’avena, l’orzo, il grano ecc. I balzelli illegittimi erano diversi, esosi ed eccessivi.
Questa feudalità sassarese si oppone a questa presa di posizione della Reale Udienza, dagli stamenti e della feudalità del capo meridionale. Non attribuite un passo troppo in là a questi feudatari perché vedete che partiamo dal concetto di mediare le rivalità tra capo e vertice cioè tra mediare, non abolire il feudalesimo. Il feudatario vuole portare le correzioni necessarie a un sistema sbagliato.
I sassaresi si oppongono e dicono “ ma questi stanno andando pian piano a cadere nella trappola di abolizione del feudalesimo così com’era avvenuto in Francia nella seduta del 4 agosto 1789 in cui vennero cassati tutti i diritti feudali con un provvedimento “piovuto” dall’assemblea nazionale e la prima cosa che fanno è abolire tutti i pesi feudali”.
Da noi si sceglie un’altra strada che è quella della mediazione. Quindi questi signori si recano a Cagliari. I feudatari sassaresi si oppongono dicendo a Torino che a Cagliari avevano tutti perso la testa, erano diventati tutti giacobini e volevano fare un sommovimento “in capit membris” cioè rivoluzionare l’assetto politico e la società accusandoli di giacobinismo quando in fondo giacobini non erano ma volevano solo un superamento di queste ingiustizie.
In una prima fase dopo lo scommiato dei piemontesi al ministro Granari, uno degli artefici della negazione delle 5 domande da cui scoppia il 28 aprile, era stato giubilato, non più accetto ai sardi che ne volevano le dimissioni e il sovrano lo sostituì nell’inverno 1794 con Avogadro di Quaregna, presidente del senato di Piemonte (parlamento del principato di Piemonte) il quale intelligentemente capisce che non si può usare una politica di muro contro muro quindi fece delle concessioni:
la prima furono i quattro alti funzionari nominati anche se poi ne venne fuori l’uccisione del Pitzolo e del Planargia poiché due di quei alti funzionari si schierano con una posizione assolutamente reazionaria a cui sono favorevoli anche i feudatari di Sassari.
Pertanto la feudalità di Sassari una volta che viene portata avanti una linea politica che è riformista dicono “questi son diventati tutti giacobini, caro sovrano noi vogliamo avere un amministrazione separata da Cagliari, non vogliamo più obbedire al potere legittimo rappresentato dal vice”.
Io vi ho richiamato Avogadro perché egli dall’estate del ‘94 era andato su una linea politica morbida, per venire incontro , senza concedere tutto e subito ma cominciare. Per esempio
una delle 5 domande era i posti ai sardi della burocrazia: Avogadro aveva accettato che si nominassero quei quattro giudici e nel febbraio ’95 aveva accettato anche la prima domanda.
Dopo che Avogadro di Quaregna ha mandato una missiva al viceré Vivalda (arrivato nel settembre del ‘94) comincia ad approntare tutti quegli atti che devono portare alla convocazione in virtù di questo lavoro sotterraneo che viene fatto daa Pitzolo e dal Planargia nel marzo-aprile del 1795. Abbiamo il DILAZIONAMENTO sine die della convocazione degli stamenti, rimandati cioè a non si sa quando e questo è il motivo per cui verranno assassinati perché è solo attraverso cum maneggius inaggonnos come dice Francesco Ignazio Mannu nel famoso inno sa scorta sana impedidu nella strofa 28 ci trovate scritto perché Mannu era uno dei patrioti che voleva andare sulla linea riformista e le me maligias e ingannas di Pitzolo e del Planargia avevano fatto fallire questo disegno tanto è vero che le corte, cioè la convocazione del parlamento promesso viene negato nel mese di marzo. Avogadro di Quaregna viene licenziato e gli succede Galli della Loggia. Egli stava dalla parte dei feudatari e ha accolto quella accusa di essere giacobini ma partiamo dal marzo. In questa operazione nel frattempo ci sarà l’uccisione di questi due e poi una netta frattura. Da che cosa nasce questa richiesta di separazione (dalla convinzione che si è fatto Galli della Loggia che a Cagliari siano diventati tutti giacobini) che cosa accade però? Nell’estate com’è scritto nella narrazione di tutti presa dal documento di Luciano Marroccu avviene che nell’estate ’95 abbiamo questa lenta frattura che si consuma dopo quest’atto ulteriore del 10 agosto.
Che cosa accade nel momento in cui Galli della Loggia manda a firma del sovrano Vittorio Amedeo III un regio biglietto il 29 agosto, 20 giorni dopo la circolare, in cui viene chiesto che i sassaresi considerato che i cagliaritani andavano tralignando,che potessero opporsi in tutti quei provvedimenti vice regi che ritenessero non rispondere agli interessi del sassarese?
State attenti che nel frattempo un concorso di circostanze che è veramente grave per capire questo periodo: durante quell’estate subito dopo l’uccisione di Pitzolo e di Planargia, anzi in quei 15 giorni che intercorrono tra l’uccisione del Pitzolo (6 luglio ) e il 22 luglio (uccisione del Planargia) i sassaresi poiché la Corsica l’anno prima era caduta in mano agli inglesi grazie alla volontà di Pasquale Paoli in Inghilterra, c’era il vice re Eliot come giustamente avete scritto e loro a Sassari mandano un’ambasceria a questo viceré inglese dicendogli: “Ma questi stanno diventando tutti giacobini perché non ci date una mano a fare la stessa cosa che avete fatto in Corsica, una normalizzazione?”. Ora voi capite che quando un ufficio subalterno qual’era la reale Governazione di Sassari capeggiata in sostanza dai feudatari del nord si permette di mandare un’ambasceria ad uno stato estero, questa non può essere competenza di un ufficio periferico ma dev’essere competenza di un comandante in capo che è il luogotenente del re cioè il viceré quindi si compie un’infrazione grave dal punto di vista politico. Arriviamo all’assenso a separarsi da Cagliari:
il viceré contesta il fatto dell’ambasceria mandata ad Eliot e soprattutto contesta il fatto che il capo di Sassari e dunque la Reale Governazione, cioè Antioco Santuccio, voglia opporsi agli ordini vice regi perchè Antioco Santuccio tra il settembre e l’ottobre ha emanato a seguito di quel regio biglietto del 29 agosto una sorta di lettera come quella che vi ho fatto vedere in cui dice “Non obbedite agli ordini del vice re di nominare quei famosi rappresentanti che vadano a Cagliari per dirimere le controversie feudali”. Quando Santuccio compie quest’atto il vice re glielo contesta attraverso una circolare che gli manda firmata anche dai rappresentanti degli stamenti e nel contempo visto che l’autorità legittima della Reale Governazione si è opposta al vice re è come se io “Preside di una scuola che però è sempre un ufficio periferico rispetto a chi comanda mi oppongo ad un ordine di Pietrella”. Cosa fa Pietrella? Mi manda dei commissari ad acta. Quando un funzionario pubblico non copie il suo dovere prima lo si diffida ( e il vice re lo ha fatto) poi gli manda un sostituto che adempia a quelli che sono gli ordini. Fa si che quell’atto amministrativo venga compiuto. L’atto amministrativo consisteva nel fatto che questa circolare doveva essere affitta in tutte le curie per ordine del vice re ma il governatore di Sassari si oppone allora gli manda appunto quei commissari che sono tre: due che vanno verso la zona da Oristano in su, Cillocco va da Macomer in su e un altro viene mandato nel marchesato degli Aymerich di Laconi.
Questi commissari fanno il loro dovere: arrivano alla curia di Borore, verificano che non è stato affisso l’ordine vice regio all’albo così a Bonotona c’è chi chiede ragione al ministro di giustizia cioè a coloro che erano i responsabili dell’amministrazione dei paesi. Nel mio paese c’era questo signore che si opponeva ancora nonostante l’affissione fosse fatta forzosamente però nel frattempo avviene che Cillocco, uno dei giacobini sardi, convinto della necessità di una rivoluzione radicale, fa questo e arriva sino a Sassari per far eseguire gli ordini viceregi ma in quel territorio che va da Macomer sino a Bonorva dove c’era il famoso parroco Muroni, prete rivoluzionario di allora, oppure arriva a Ferinas dove c’era un altro prete aperto verso queste idee, oppure arriva nel paese di Sannacorda, a Terralba un altro personaggio tra coloro che saranno nominati per dirimere i problemi relativi al feudo e che sarà quello che tenterà quell’impresa disperata nel 1802 insieme a Cilloco per sollevare la Gallura, a distanza di 6-7 anni va avanti questo discorso della necessità di una rivoluzione in Sardegna. Durante questa missione di commissario ad acta soprattutto il Cillocco si allea con Gioacchino Mundula e con quelle frange della classe dirigente di allora che sono favorevoli ad una riforma (tutti i prinzipales e tutti i piccoli nobili dei paesi che rappresentano la borghesia di allora) il che riesce in questo lavorio lento ma molto convincente di ammassare a Sassari, la cittadella della reazione che non voleva piegarsi agli ordini viceregi il 28 dicembre 1795 l’esercito contadino fatto di uomini e donne che si accampa all’entrata di Sassari. Quando entrate a Sassari voi entrate da Viale Italia. Appena arrivate verso il bivio Perritzedu subito sulla sinistra c’è una costruzione che colpisce l’occhio: quello era un monastero e lì avvenne l’ammassamento di tutta questa gente proveniente dai paesi vicini (da Macomer, da Mores, da Bono, da Bonorva, da Torralba ecc) In questo visto questo ammassamento ci sono delle piccole scaramuccie sia all’interno che all’esterno perché alcune persone erano armate, l’archibuso era l’arma canonica del principale e di chi viveva in campagna .A un certo punto però dalle mura di Sassari si alza bandiera bianca: Cillocco e Mundula e quest’esercito contadino conquistano Sassari anche se non hanno sfondato le porte però Antioco Santuccio, governatore di Sassari, a un certo punto si rende conto che non può difendersi dall’esercito contadino come quello e pertanto Cillocco e Mundula entrano a Sassari, si creano subito un loro governo e prendono prigionieri le due autorità principali che erano rimaste a Sassari perché i feudatari tipo il conte di Ittiri, il duca dell’Asinara ecc se l’erano data a gambe scappando in Corsica. Sono rimasti l’arcivescovo Della Torre e il governatore appunto. Cillocco e Mundula lasciano la città in mano ai loro addetti per l’amministrazione , è successo una rivoluzione, è stato decapitato il potere, la città viene governata appunto da quest’ala “radicale” e siamo nel gennaio del 1796. Cillocco e Mundula con un piccolo drappello di soldati prendono il governatore Santuccio e l’arcivescovo piemontese Della Torre e li conducono a Cagliari in modo tale da poter, davanti agli stamenti e la Reale Udienza discolparsi: “Perché vi siete comportati in questo modo non obbedendo agli ordini legittimi?”. Sotto sotto però sicuramente Cillocco e Mundula avevano come obbiettivo quello di sollevare Cagliari e dare una spinta molto radicale alla rivoluzione. Questo è il momento in cui quel partito patriottico che si era trovato unito nel periodo dell’assassinio di Pitzolo e di Planargia e nel periodo di queste timide avance riformistiche che sono la famosa circolare del 10 agosto accortosi a un certo punto nel gennaio del 1796 che la rivoluzione sarda stava prendendo una piega eccessivamente si scinde. Efisio Pinto Sirigu che è un poeta e un politico importante comincia a pensare che questa non era la piega che loro volevano che la rivoluzione prendesse però siccome la mente politica di un deciso avvio delle riforme in Sardegna era, per quanto non amasse mostrarsi Gio Maria Angioy, giudice della Reale Udienza che cosa fanno?
Il 4 e il 5 gennaio quei signori vengono giù da Sassari, una delegazione stamentaria che era capeggiata da Efisio Pintor Sirigu e da Nicola Guiso li intercettano a Sardara (subito dopo San Luri) e lì: “Questi due signori avranno tutte le colpe possibili e immaginabili, la maggior autorità politica e militare e la maggior autorità ecclesiastica del capo di Sopra, però se voi andate a Cagliari in questo modo questi vi linciano, può succedere a Cagliari il fini mondo e allora facciamo un patto: loro saranno a suo tempo processati però con giudizio tutto questo, fateli dirottare verso Villacidro (c’era il vescovo Michele Aymerich, uno dei sei ambasciatori dello stamento ecclesiastico) li facciamo aspettare un po’ lì, voi venite senza questi prigionieri che a suo tempo risponderanno delle loro azioni e venite con noi a Cagliari e voi agli stamenti e al vice re esporrete come sono andate le cose a Sassari”. Questa è stata una mossa molto furba, li hanno divisi e li fanno entrare da soli a Cagliari senza i prigionieri. Anche Cagliari era in fermento in quel momento nel gennaio del 1796. Poiché il fautore di tutto era Angioy, com’era riconosciuto, quale ragionamento fa questo gruppo che sta cominciando ad opporsi? Come dire: “Sei stato tu a sollevare quelle tue opposizioni molto avanzate, tu sei anche un giudice della Reale Udienza, cioè un diretto collaboratore del vice re. Allora noi ti incarichiamo, visto che le cose sono andate in questo modo, di andare tu a Sassari con la qualifica di alter nos, cioè con tutti i poteri del vice re per tentare di sedare i moti e i pericoli che ci sono in essi. E’ così che Angioy viene nominato alter nos e il 13 febbraio parte da Cagliari, fa quella sorta di marcia trionfale, fa tappa in tanti paesi perché era conosciuto quasi come un messia che avrebbe risolto i problemi e il 28 febbraio arriva a Sassari. Se qualcuno conosce Sassari avrà visto il quadro ottocentesco che rappresenta Angioy il 28 febbraio del 1796 che entra dalla Porta di Sant’Antonio, quella che si trovava a lato destro per chi viene da Via dell’Annunziata. Entra quasi come un libertados sud americano e così è rappresentato nel quadro. Viene accolto con una gran festa, ci sono anche i canonici che gli fanno festa e tutti coloro che aspettano da lui la riforma e soprattutto la necessità che finiscano tutti i “torbidi”, cioè i sommovimenti popolari. Io quella che vi ho dato di Angioy è un’interpretazione e nessuno oggi sa esattamente se effettivamente furono queste le ragioni che spinsero quel partito che stava già andando a pugnalare alle spalle Angioy. Lo dico però, perché questo è stato asserito dal secondo ambasciatore che fu mandato a Torino insieme a cui andarono Michele Aymerich, vescovo di Villacidro, e Pietro Sisternes, canonico di origine oristanese che però era a Cagliari, ed è lui che lo scrive in una lunga lettera alla Regina Maria Teresa del 1812 in cui dice “Guardate il disegno attraverso Angioy è stato nominato alter nos è questo”. Angioy governa Sassari invece di sedare le sommosse, cerca di regolamentarle attraverso uno strumento, gli strumenti d’unione, una parte del partito patriottico che è una componente grossa, quelli che erano uniti nella fase dell’assassinio di Pitzolo e Planargia e dei primi movimenti riformatori si rivolta contro l’ala più radicale, più conseguente rappresentata da Angioy.
Ma che cosa fa Angioy investito dei poteri vice regi? Riassesta le finanze, crea posti di lavoro, provvedimenti che tendono a far scendere la tensione attenzione sociale e poi però comincia ad affrontare il problema più grosso, quello feudale.
Ora guarderemo un documento che è di grande importanza per capire in che cosa consiste la rivoluzione angioiana. Il titolo di questo documento è “Atto di sottomissione e soggezione per ogni accidente culturale sottoscritto da consiglio comunicativo raddoppiati i cavalieri ed altri dei rispettivi paesi di Chiesi in favore di sua eccellenza e Reale Udienza dominante in Cagliari l’anno del signore 1795 anni 24 del corrente mese di Novembre Tiesi”.
Prima però dobbiamo tornare indietro di tre mesi circa: ricordate il nostro Cillocco che va per i paesi? Cillocco era un funzionario regio, non si poteva mettere contro il vice re ma doveva fare le cose in modo legalitario. Allora qual è il tipo di posizione da assumere? Questa: dobbiamo mediare, però forse mediare non risolve i problemi del feudalesimo. I problemi del feudalesimo si risolvono abolendolo. Quindi questo è un atto che va oltre la famosa circolare del 10 agosto, lì parlava di procurare e moderare qui invece dice “Non vogliamo i feudatari”. Poi c’era però un altro problema: vogliamo che il feudalesimo che ormai è una cosa anacronistica venga abolito come istituzione, la classe dirigente d’allora era una classe moderata. Allora quale strumento migliore dell’abolire il feudalesimo recuperando quello che è stato l’input dato dalla circolare del 10 di agosto attraverso una transazione, una trattativa in cui ci mettiamo d’accordo su come fare. Il feudatario ricava le sue rendite dal feudo, da quei territori che amministra, dunque un territorio avrà un valore in termini di ricchezza, si tratta di andare a calcolare feudo per feudo quale può essere un costo ragionevole del prezzo del feudo in modo tale che i vassalli che si quotano possano abolire il feudalesimo pagando ai feudatari quello che è di loro diritto. Non è mica una transazione fatta di nascosto, ma fatta attraverso l’atto pubblico firmato da tutti i prizipales e da tutti i consigli amministrativi raddoppiati (era il consiglio) davanti a un notaio, tutti i responsabili dei feudi. Se vogliamo capire il senso della rivoluzione angioiana questo è un passaggio fondamentale e vi dico subito perché, ma prima vi leggo due cose che sono scritte in questi atti, sono documenti storici. I primi a incamminarsi per questa strada sono questi tre paesi che sono Tiesi, Bessude e Teremule. Siamo nel 24 agosto 1795, quella fase in cui Cillocco e Mundula sono in giro per i paesi. L’atto di sottomissione significa che loro stanno rispondendo al commissario ad acta, nel senso che stanno dichiarando che non è stata responsabilità loro se quei famosi atti del vice re, compresa la famosa circolare del 10 agosto non è stata affissa se questo è capitato per responsabilità loro, loro dicono no noi abitiamo a Cagliari. Poi però giurano quanto segue davanti a un notaio: “Hanno deciso questi tre paesi che appartengono a un feudo di fare una unione e un’alleanza fra tutte le anzidette ville ed abitanti (vuol dire che si tassano tutti, non solo i prinzipales) per liberarsi in primis da tutti i pericoli che li sovrastano e che vengono minacciati tanto in scritto quanto a voce dai suddetti sassaresi, loro commissari”. Cioè in primo luogo loro dicono “noi ci uniamo perché il governo di Sassari ci sta vessando, ci sta minacciando” Secondo “Ed affinché sia palese a tutta la Sardegna anzi a tutta l’Europa il voto e il desiderio di esse ville le quali hanno unanimemente risolto, (deciso) di ridurre in iscritto, (attraverso uno strumento pubblico) ed esibire in pubblico e solenne strumento le determinazioni delle medesime prese per garantirsi in tempo dai soprammenzionati pericoli.
Primo: tutte le suddette ville hanno unanimemente risoluto e giurato di non riconoscere più alcun feudatario attraverso un atto pubblico davanti al notaio Sotgiu e quindi ricorrere prontamente a chi spetta per essere redente ( quindi chi è questo chi spetta? E’ il potere legittimo, è il vice re , è il sovrano) cioè per essere liberato dal feudalesimo pagando a tale effetto, per essere sollevati da questa struttura, tanto che dai superiori vorrà creduto giusto e ragionevole, cioè noi aboliremo il feudalesimo pagando ai feudatari attraverso un’intermediazione del sovrano e del vice re ciò che è giusto e ragionevole. Allora si tratta di un’abolizione del feudalesimo a titolo ONEROSO. Così poi avverrà in seguito l’abolizione del feudalesimo in Sardegna. Secondo, sapendo che questa risoluzione è quanto giusta quanto utile alla pubblica felicità degli abitanti e agli interessi di Sua Maestà non ha incontrato il gradimento dei feudatari di Sassari che pensano a frapporvi tutti gli ostacoli possibili per mezzo dei loro ministri e tutta la burocrazia feudale che raccoglie le tasse e governa in nome del feudatario e altri che usano considerabili somme di denaro per corrompere alcune persone hanno pure unanimemente determinato, giurato e convenuto che interinalmente e fintanto che pervengono le risoluzioni del sovrano( notate la legittimità)., finché non ci sarà il provvedimento del sovrano ( quindi loro sono obbedienti al vice re) per suddetto riscatto dei feudi che sperano di ottenere la giustizia di non permettere che essi feudatari nominino ufficiali fattori e amministratori o qualunque altro ministro di giustizia nelle su dette ville poiché altrimenti ne si potrebbe ottenere il desiderato riscatto ne sarebbe libero ai consigli comunicativi o ad altre persone zelanti del pubblico bene di rappresentare gli abusi invasi dall’amministrazione feudale. Detto in poche parole: “ Noi stiamo chiedendo tutto questo da questo momento e subito, dal momento in cui noi, responsabili di questi tre paesi abbiamo fatto quest’atto pubblico davanti un notaio. Tra le altre cose noi diciamo anche e poiché è nostra intenzione abolire il feudalesimo da questo momento e subito non vogliamo più tra le scatole i funzionari del feudatario perché sono quelli che corrompono, che bastonano e che ammazzano e non ci permetterebbero di arrivare al nostro obiettivo, questa è una denuncia pesante.” Questo documento è molto ricco però è importante che vi leggessi questo per ricordarvi che il feudalesimo lo si voleva da parte di questo movimento del fine ‘700 abolito, è questo il salto di qualità rispetto alla circolare del 10 agosto, lo si voleva fare attraverso un titolo oneroso. Quando Angioy giunge a Sassari si rende conto che il feudalesimo è veramente il cancro della società, ne era già convinto, messo direttamente davanti alla situazione della popolazione del nord della Sardegna lui non torna sui suoi passi, è convinto di quello e vuole che venga abolito il feudalesimo e passa quindi dalla parte della popolazione, de “sas biddas”, delle ville feudali. Quale sarà lo strumento attraverso cui Angioy vuole operare il superamento del feudalesimo da contrattare poi col potere viceregio come questi atti dicono? Lo fa attraverso la diffusione in tutti i paesi e in tutti i feudi di questi atti di unione e di concordia. Pertanto se voi andate a vedere gli indici notarili del capo di Sassari a partire dal marzo del 1795 sino al maggio 1795, quasi tutti i comuni del nord della Sardegna stipulano questi atti davanti a un notaio che sono conservati negli atti notarili di Sassari. Questo è lo strumento di cui si serve l’Angioy. Egli manda i suoi emissari in tutti i paesi del nord per convincere tutti i consigli comunicativi di firmare un atto pubblico come questo e tutti i consigli comunicativi se ne dotano di un atto di questo genere. Sono tanti quindi. Quando Angioy è arrivato ad avere questo assenso da parte di tutte le popolazioni e di tanti atti notarili fatti in tutti i diversi feudi, è allora che sentendosi forte dell’appoggio di tutte le popolazioni del nord della Sardegna, inizia quella che viene chiamata la “marcia di Angioy” verso Cagliari o contro Cagliari. Angioy il 2 di giugno 1796 esce da Sassari e si reca a Fuorinas. Poi lui era convinto che siccome era un pubblico funzionario dotato di pieni poteri la richiesta che viene fatta viene fatta attraverso un atto consensuale, un atto pubblico, quindi era convinto attraverso quest’azione di poter convincere i cagliaritani, il viceré, gli stamenti, la Reale Udienza che questa poteva essere la soluzione politica dei problemi della Sardegna quindi qui siamo un po’ nel campo dell’interpretazione . Io sostengo che Angioy quando esce da Sassari per andare verso Cagliari per trattare col sovrano o meglio con il suo rappresentante, con le autorità, non sta andando a far la guerra, non è contro Cagliari ma era convinto che sarebbe potuto andare a votare questa modalità di superamento. Però in questa marcia verso Cagliari c’è anche un po’ un contro Cagliari perché mano a mano che Angioy avanza nei paesi le file si ingrossano. Se voi andate a vedere nei documenti ufficiali chi sono coloro che possono firmare perché sanno leggere e scrivere la lettera mandata al vicerè in cui si chiede di poter presentare questo tipo di vendicazione, vi accorgerete che sono quasi tutti dei prinzipales, dei nobili e dei preti del basso clero dei paesi di Cherebule, di Bonorva, di Terralba. Questa marcia se nonché si ferma, ha un primo intoppo a Macomer perché a Macomer ci sono due fazioni:quella del fattore feudale cioè dell’amministratore dei beni, colui che diventerà poi il conte Pinna che era fratello di uno dei funzionari della reale governazione, con Domenico Pinna che era un giudice che accompagnava Angioy, che lavorava a Sassari, fratello del feudatario. C’è una prima scaramuccia però state attenti ragazzi, abbiamo appurato grazie alle pazienti ricerche del ragionier Cucca che anche a Macomer fu firmato dall’ala favorevole all’Angioy un atto d’unione. Un’altra scoperta voi sapete che Angioy poi scende verso Oristano. Quando ci arriva in un documento che è stato pubblicato alcuni anni fa, io ho rafforzato quest’ipotesi nel senso che quello che era il funzionario di un feudo che è quello di Cabras che si chiamava Domenico Nicheli che era l’ufficiale di giustizia laureato in leggi che amministrava quel territorio feudale porta i rappresentanti dei consigli comunitativi dei feudi che amministravano (Nuracchi, quella zona li) per che cosa? Anche a loro viene chiesto di firmare attraverso un atto notarile quest’atto. Allora la conclusione che ne traiamo è: ecco cos’è la rivoluzione angioiana: abolire il feudalesimo a titolo oneroso attraverso una transazione con i feudatari. Il bello è che la nostra rivoluzione purtroppo non è vittoriosa se voi però andate un pochino più avanti,fino alla perfetta fusione in quel segmento di tempo che va dal fallimento della rivoluzione angioiana al 1848 cosa c’è di mezzo? C’è il governo di Carlo Alberto che a partire dal 1836 abolisce il feudalesimo mettendoci 7 anni per valutare il valore di ciascun feudo quindi i feudi in Sardegna sono stati aboliti dal sovrano 50 anni dopo con lo stesso strumento con cui il movimento angioiano voleva che si superasse il feudalesimo in Sardegna, attraverso uno strumento legale solo che in questo caso partiva dal basso nell’altro dall’alto. Perché come dice Giuseppe Manno, autore della “Storia Moderna di Sardegna” non è che non ci fosse bisogno di una riforma però in annicchetto cioè che non ci si agiti troppo, che non ci siano torbidi e poi soprattutto attraverso l’intervento di quello che è il pater familiae dello stato, il sovrano. Manno sa che la Sardegna del 1700 aveva bisogno di riforme che non potevano partire dal basso ma elargite dall’alto. Lo stesso discorso si può fare sul famoso statuto albertino che come sapete anche quello discende dall’alto. Si racconta che quando lui arriva ad Oristano il 10 giugno 1796 la famosa palude (Pintor, Musso, Cabras ecc) gli manda contro un esercito di Armati e arrivati ad Oristano c’è uno scontro tra i seguaci di Angioy e gli Armati mandati dagli stamenti. Ovviamente ormai in quella fase Angioy è perduto. così raccontano alcune cronache del periodo, e deve tornare indietro. Manno racconta che al ponte di Massama a un certo punto pare Angioy, sedutosi un attimo sotto un albero a riposare, dicendo che si fermava per una pausa bucolica (campagnesca) dice “Su per versum meum fabricaverant peccatores” ed è qui che è l’episodio dell’Angioy che piange perché ha perso ormai tutto. Cosa vuol dire il verso del salmo? Stava dicendo “le colpe di tutto quello che è accaduto sono cioè quelli che una volta erano miei alleati e che adesso mi sono venuti contro, adesso ricadono tutte interamente su di me”. Angioy ritorna a Sassari e la sera del 17 giugno si imbarca a Porto Torres e arriva a Livorno dove inizia i contatti con i funzionari francesi che avevano occupato una parte cospicua dell’Italia. Io da poco, solo l’anno scorso ho ricostruito un altro piccolo tassello: ho scoperto che Angioy che stando a Livorno e poi a Genova e poi a Bergamo va a incontrare Napoleone che sta facendo la campagna d’Italia per chiedere aiuto alla Francia per abolire il feudalesimo in Sardegna però a un certo punto non si accorge che la Francia non ci può dare aiuto perché quando le armate francesi sconfiggono Vittorio Amedeo III ed è costretto alla resa e nella resa c’è scritto che dal 15 maggio del ‘96 il Piemonte e o meglio il Rengo di Sardegna già in armi contro la repubblica francese da quel momento diventa alleato della Francia perché è una delle clausole del trattato del 16 maggio. Angioy sicuramente si è mosso pensando che le clausole di questo trattato fossero valide anche per i rivoluzionari sardi ma purtroppo non accadrà così. Quando lui nel luglio 1796 è pellegrino per l’Italia, dopo che ha parlato con Napoleone si accorge che ormai la Francia per motivi seri perché c’è un trattato di tipo diplomatico, chiede a Carlo Emanuele IV, il re che succede nel mese di ottobre a Vittorio Amedeo III, è lui che lo chiede ma non lo chiede a Carlo Emanuele IV anche se è lui che lo riceve ma lo chiede a Vittorio Amedeo III nel settembre del ‘96 quindi tutta quella panzana che è stata inventata da Manno in cui dice che il sovrano nuovo, rendendosi conto del marasma che c’è in Sardegna ha chiamato Angioy per discolparsi e per tentare di mediare è falso, è Angioy che chiede di trattare col sovrano convinto che andando a Torino nel dicembre ‘96 per trattare da pari a pari col sovrano per esporgli tutte le ragioni e per dire che tutto questo movimento sebbene quei famosi peccatores (la palude) oggi vanti di essere più monarchica del re, sono loro insieme a lui che hanno avviato tutto il processo di riforma che arriva sino alla circolare del 10 agosto. Angioy a Torino e poi quando viene confinato a Casal Monferrato ci starà sino al settembre ‘97, ci rimane quasi un anno. Lui scrive i suoi memoriali, purtroppo non siamo riusciti a metterci mano, non sappiamo se son stati distrutti ma da tutte una serie di testimonianze che abbiamo potuto ricostruire attraverso questo libro pubblicato solo l’anno scorso emerge che Angioy era un politico fino, che è andato a Torino non per chiedere perdono ma per esporre quella che era la situazione reale della Sardegna e per dire anche “Bada che non sono solo io il responsabile dei movimenti in Sardegna, ma tutti loro sono stati fino al febbraio 1796 d’accordo su questo tipo di azione per abolire il feudalesimo.” Nel mio libro è raccontato anche l’episodio un po’ rocambolesco della fuga di Angioy. Il cognato di Angioy che era di Bono, sposato con sua sorella, laureato in leggi, quando si accorgono che a un certo punto in Piemonte e in Sardegna soprattutto gli angioiani continuavano a venire impiccati, attorno all’aprile-maggio del 97 i patrioti sardi cominciano a preoccuparsi cioè: “Se questa benedetta Reale Udienza e il vice re continuano con questa politica forcaiola, bè allora vuol dire che questi l’hanno confinato a Casale non tanto per sentire le sue ragioni ma prima o poi per accopparlo”. Allora il cognato sbarca a Livorno nel mese di agosto, organizza tutta una “trassa” con quello che era il segretario di Angioy, Frassu,un giovane che poi diventerà canonico, e a un certo punto dopo che hanno trovato tutti gli accordi il 6 settembre ‘97 si presenta a Casal Monferrato un sedicente ufficiale francese che dice di lavorare nella sanità, in realtà era il cognato di Angioy, e si mettono d’accordo in questo modo: “Io prendo il “pullman di linea” (allora era una diligenza a cavalli per andare ad Alessandria), tu esci dal monastero dove abitii con la scusa che stai andando all’orto di un amico a mangiare fichi”: la diligenza parte e lì sale il presunto ufficiale francese, arrivati un po’ fuori l’attenzione della gente dove era pronto Angioy lui minaccia il vetturale perché diciamo che non aveva il “biglietto”, lo fa salire, aveva nascosto un berretto francese e anche una divisa francese e gli dice “tu è uomo curre”, (?)è scappato da Casale Monferrato attraverso quest’atto di ballentia del cognato, notate: nel pullman di linea! Cioè a dire nella diligenza che era la diligenza pubblica, arrivano ad Alessandria e anche li fanno di tutto perché non vengano controllati e una volta arrivati lì che era sotto la Francia Angioy diventa libero. E’ gustoso quest’ episodio perché è un autentico atto si da balente perché ci vuole anche fegato però è anche uno sberleffo, un affronto nei confronti delle autorità piemontesi che non riescono a scoprire tutto quello che è una montatura ben congegnata per cui il governatore di Casale ne pagherà le conseguenze.