Viaggio a Bono

Mercoledì 15 maggio 2009, la IV L e la III E si sono recate in visita al Comune di Bono, con i docenti accompagnatori Ettore Martinez e Renzo Usai, per integrare con un'esperienza sul campo i programmi di storia regionale delle rispettive classi. Essi, benché separati da oltre cinquecento anni di storia, convergono e si intrecciano in questo paese situato quasi al centro della Sardegna, al confine meridionale della regione del Goceano. Bono è infatti conosciuto in Sardegna principalmente per aver dato i natali all'eroe regionale Angioy, protagonista indiscusso delle ultime fasi (e forse anche delle prime) del Triennio Rivoluzionario Sardo. Tuttavia, non lontano dal centro abitato si può ammirare ciò che resta di una delle più famose roccaforti della Sardegna Giudicale: l'inespugnabile castello di Burgos, che dall'alto di una irta collina getta sull'ampia valle il distaccato sguardo di un vecchio colosso che ha visto letteralmente la storia scorrere ai suoi piedi.

Di seguito il mio personale resoconto del viaggio:

Arriviamo a Bono in tarda mattinata, dopo un lungo viaggio in pullman, durante il quale abbiamo visto la pianura campidanese cedere il passo ai monti del Centro-Sardegna, allo stesso modo in cui una bellissima giornata di sole è seguita alla foschia ed alla bruma mattutina.

La prima impressione di Bono non si discosta da quella che chiunque potrebbe avere vedendo per la prima volta un tipico paese del nord isolano: arroccato su un monte dalla cima smussata, irregolarmente costellato di salite e discese senza quasi uno schema, prevale un colore rosato, neutro sulle facciate e sui muri delle case.

L'autobus si ferma in quella che con ogni probabilità è la piazza principale della città: una fontana, giovani e anziani seduti sulle panchine circostanti e un bel murale a colpire il nostro occhio non appena scesi dalle scalette. Pochi minuti per ricomporci dal viaggio e ci incamminiamo, guidati dal professor Martinez, alla volta del Palazzo Comunale, dove saremo a breve ricevuti dal sindaco della città. Il tempo di fare qualche foto di gruppo, suscitando ovviamente i divertiti sguardi degli abitanti, e siamo invitati a fare il nostro ingresso nel palazzo prima e nella sala delle riunioni del Consiglio Comunale poi. Al suo interno notiamo subito un grosso busto dell'Angioy, che, da un angolo della stanza, tiene d'occhio tutto e tutti. Il sindaco, Pietro Molotzu, si unisce a noi pochi minuti dopo il nostro ingresso, e ci da il benvenuto a Bono con un discorso conciso ed efficace. Non è la prima volta che il sindaco collabora con il nostro istituto, e in particolare con il professor Martinez: già in passato classi di studenti hanno avuto la possibilità di fare la nostra stessa esperienza. Si percepisce quasi una sorta di intesa fra i due, e il primo cittadino non delude le attese facendo seguire al discorso di ringraziamento pronunciato da una nostra compagna un rinfresco, in linea con la tipica ospitalità di cui i Sardi da sempre si vantano.

Al termine del rinfresco salutiamo il sindaco e i suoi collaboratori per visitare il paese. Sotto il sole del mezzogiorno percorriamo vie e viuzze di Bono, fino a giungere alla casa natale del'arcinoto Giomaria. Davanti ai nostri occhi non c'è un mausoleo, né un cartello stradale ci ha guidato alla meta. L'edificio è anonimo, semplice, e ospita un ambulatorio medico. Solo una targa in marmo ricorda ai passanti e conferma a noi che ci troviamo di fronte alla prima casa dell'Angioy. Indubbiamente, ci spiega il professore, questo è dovuto al fatto che per tutto il periodo che intercorse tra la fuga di Angioy (1796) e la fine del regno di Sardegna, egli non fu considerato dal governo e dalle istituzioni se non un fuorilegge, un traditore, un rivoluzionario o un brigante, addirittura, nient'affatto degno di ricevere qualsivoglia encomio alla memoria, la cui sola persistenza era ritenuta addirittura pericolosa a causa delle idee democratiche e libertarie che il rivoluzionario incarnava. Ci tratteniamo ancora qualche minuto davanti all'ambulatorio, scattiamo qualche foto ricordo. Non troppe però, l'intonaco grigio e crepato dell'edificio non è il migliore sfondo immaginabile per una foto di classe.

Proseguiamo sulla stessa strada di prima, salendo progressivamente finché non ci troviamo su uno spiazzo di medie dimensioni adiacente ad una chiesa. Facciamo la conoscenza del parroco, che incrociamo per caso, e che ci saluta con voce affabile e accento indefinibile. La facciata della chiesa è romanica, con ovvie influenze pisane, ma non ha successo nell'attrarre su di sé i nostri sguardi per più di qualche secondo. Davanti a lei si apre infatti uno scorcio bellissimo del paese e delle zone circostanti, uno dei più belli che abbiamo avuto modo di vedere a Bono. Questo si è uno sfondo adatto per sfogare l'ostinato istinto di autocelebrazione dei viaggiatori!

Dopo un breve riposo nel piazzale, torniamo indietro ripercorrendo gli stessi passi dell'andata. Arriviamo fino in prossimità del Palazzo Comunale, fino a una chiesetta, meno appariscente della precedente, che si trova però in un luogo sede di una curiosa tradizione locale. Ogni anno infatti viene fatta rotolare giù dalla discesa una grossa zucca, a simboleggiare la fuga delle truppe sardo-piemontasi che avevano attaccato Bono con le peggiori intenzioni, probabilmente per vendetta verso Angioy, solamente per essere poi messe in fuga dalla veemente reazione degli abitanti. Dalle scale di fronte alla chiesetta, ancora teatro di fotografie di gruppo, è stato nuovamente possibile godere della vista di uno stupendo paesaggio urbano e rurale al contempo.

Subito dopo abbiamo fatto ritorno al pullman, non poco desiderosi di placare del tutto la fame appena smorzata dal rinfresco comunale. In una decina di minuti l'autobus ci ha condotti fuori dal centro abitato, nel pieno della campagna del Goceano, dove ci attendeva un caratteristico agriturismo, con tanto di allevamento incluso. Mangiamo bene, fin troppo bene. D'altra parte non capita molto spesso di poter gustare cibi tradizionali come la pecora in umido, piatto forte del pranzo, il cui ruolo di "solista" gastronomico è stato insidiato dai suoi validissimi comprimari, come il prosciutto, la coppa, gli gnocchetti o le verdure fritte di antipasto. Quando ci alziamo dalla tavola siamo colti dalla tipica sonnolenza pomeridiana, al punto da convincere i professori a lasciarci qualche minuto di riposo nei dintorni dell'agriturismo. Un riposo che avremmo volentieri prolungato, non fosse stato per l'incedere esageratamente zelante delle lancette dell'orologio. Il tempo stringe, dobbiamo ancora visitare Burgos e castello. Vi arriviamo, ancora una volta, a bordo del pullman che ci ha accompagnato fin da Cagliari, e come scendiamo, non è un murale ad accoglierci, ma un muro.

Un muro di pietra, per la precisione. Alto oltre cinquanta metri, che vanno a sommarsi agli oltre cento che il provvidenziale veicolo ha divorato percorrendo spirali sempre più strette. Ci troviamo su una colonna naturale di dura pietra, in cima alla quale attende senza fretta la roccaforte millenaria. Percorriamo con fatica una salita curvilinea, ma non per questo meno impegnativa, che ci conduce ad un soleggiato piazzale, dove una giovane quanto esperta guida ci introduce con estrema precisione alla storia, ai segreti e alle non sempre edificanti vicende che hanno avuto nel castello di Burgos teatro ideale quanto duraturo nel tempo. Una mezz'ora di spiegazione che ci stanca non poco, a dispetto dell'interessante discorso della guida, che ha successo nel tenere generalmente alta l'attenzione, ma nulla può contro il sole cocente che stanca il corpo e fiacca la mente. Finita l'introduzione storica procediamo verso l'ultimo, e di gran lunga più impegnativo tratto di salita, servendoci di scalette in pietra installate (provvidenzialmente) non troppo tempo addietro. Qualcuno lo dice, qualcuno ci scherza, ma di sicuro tutti lo pensano: possiamo davvero capire perché solo una volta in ottocento anni il castello e i loro abitanti abbiano subito lo scacco decisivo dagli assedianti. Chi avrebbe potuto, e soprattutto voluto, sfidare la montagna cimentandosi con la massacrante salita, rischiando peraltro di venire massacrato in senso stretto dai rudimentali ma efficaci mezzi di difesa?

Una volta giunti in cima vediamo da vicino l'imponente torre del castello, e notiamo con sorpresa il suo a dir poco eccellente stato di conservazione. Sembra troppo perfetto per essere vero. Infatti, come previsto, non lo è. Quello che i nostri occhi vedono è solo un rivestimento in muratura, costruito di recente al fine di proteggere la vera torre, la cui salda struttura, già diroccata, veniva periodicamente martoriata da decine di fulmini. La roccaforte non sembra avere avuto un'influenza positiva sul folklore locale: è nata nei secoli l'immagine di un tetro castello, colpito da fulmini ogni qualvolta il cielo ruggisce, teatro di omicidi e tradimenti, infestato da presunte anime in pena latrici di sventura al già di suo sventurato passante che dovesse avventurarsi nottetempo sugli insidiosi pendii, pilastri alla roccaforte. Insomma, non il luogo più indicato per un picnic. E invece, le uniche persone sul monte a parte noi ragazzi, i professori e la guida, erano una coppia di giovani intenta a consumare un pranzo al sacco comodamente seduti su una panchina naturale. Dovevano essere stranieri, di sicuro!

Terminata la visita al castello, ripercorriamo la stessa ardua salita di prima, ormai trasformatasi con rigore eracliteo in una altrettanto ripida discesa. Il rischio, specie per i meno allenati, non è tanto di stramazzare a terra, quanto piuttosto di fare la fine della proverbiale zucca di Bono. Interrompiamo la discesa appena iniziano a comparire delle case sul fianco della montagna. E' Burgos, il paese sorto affianco al castello. Ci addentriamo ancora attraverso vie strettissime, incontrando automobili parcheggiate misteriosamente, in barba alle strade letteralmente a misura d'uomo. In pochi minuti giungiamo al museo di Burgos, due piani e cinque esposizioni. Non sarà il Louvre, ma ha indubbiamente la sua dignità! Terminata la visita guidata al museo, torniamo al pullman che ci riporterà a Cagliari, la stanchezza nelle gambe sgradito ma temporaneo lascito del castello e del saliscendi di Burgos, la consapevolezza di aver trascorso una giornata intensa, istruttiva e piacevole eredità sicuramente più duratura, del viaggio.



Marco Montella, IVL

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